La nostra alimentazione di oggi è il frutto di una storia condizionata da numerose “rivoluzioni“. Si parte dalla rivoluzione agricola di circa diecimila anni fa in cui si è delineato il passaggio da forme di sussistenza e organizzazione sociale nomadi a quelle basate sull’agricoltura e l’allevamento stanziale. Da lì successivi cambiamenti, sempre più frequenti nei tempi moderni, hanno aggiunto al valore di nutrimento del cibo innumerevoli altre virtù ma anche diversi difetti. In particolare nel secondo dopoguerra le abitudini alimentari hanno subito la metamorfosi più repentina su scala planetaria. Produciamo sempre più cibo, eppure, anche se i numeri sono in diminuzione, milioni di persone soffrono ancora di fame e denutrizione mentre altri milioni si ammalano per sovralimentazione e/o inadeguatezza della dieta.
Oggi sappiamo che più della metà delle malattie cardiovascolari e circa un terzo di tutti i tumori sarebbero prevenibili se si adottassero stili di vita salutari, di cui l’alimentazione è grande protagonista. Tra gli errori alimentari più frequenti e a forte impatto sulla salute ci sono gli eccessi di grassi saturi e trans, zuccheri semplici e sale, a cui si aggiunge la sedentarietà che sposta il bilancio energetico verso un surplus di calorie.
In Italia la crisi economica porta a diminuire il consumo di carni ma allo stesso tempo a scegliere alimenti con prezzo più basso (non sempre salutari), a preferire più frequentemente i fast food e meno i ristoranti, a rinunciare alle attività sportive e alla palestra, a non svolgere controlli medici preventivi e in generale a subire maggiore stress per difficoltà lavorative e di reddito.
Nonostante comunità scientifiche e autorità governative si stiano allineando su questo fronte comune, la società civile ancora non si attiene in modo significativo e consapevole alle linee guida. La consapevolezza peggiora ulteriormente quando dalla considerazione della salute del singolo o delle collettività ci si sposta su quella del pianeta. Mai come oggi si sente la necessità di compiere una nuova svolta in cui le sfida più importante è migliorare lo stato di salute a lungo termine del nostro pianeta e dei suoi abitanti.
Per affrontare queste sfide, è evidente che lo sviluppo di nuove tecniche di coltivazione, allevamento o terapia non può, da solo, essere sufficiente. Occorre qualcosa di più, e cioè una “rivoluzione” capace di trasformare ancora una volta il rapporto tra gli esseri umani e il cibo. Questa rivoluzione deve passare necessariamente per la definizione di nuove modalità di cooperazione. Sempre più necessari sono le sinergie e gli scambi tra molteplici discipline tra cui l’antropologia, le scienze agrarie e della salute, l’ecologia, la sociologia, la psicologa e le arti culinarie. Tale approccio multidisciplinare si dovrà tradurre in cooperazione tra governi, mondo accademico, ricerca scientifica, settore privato e mass media a vantaggio della società civile.
La salute non comincia a tavola, ma molto prima comincia dalla cultura diffusa a tutti i livelli, da linee guida coerenti, dalla diffusione di voci autorevoli, dai programmi scolastici, dai progetti ministeriali, dalle policy aziendali. È necessario andare nella stessa direzione: solo così si può pensare di fornire i giusti strumenti per una maggior consapevolezza e per una maggior sostenibilità economica, sociale ed ambientale delle scelte alimentari di tutti.