King’s College di Londra

Estratto da: Il partito piattaforma. La trasformazione dell’organizzazione politica nell’era digitale 


Con il suo partecipazionismo e il suo carattere “leggero ma potente”, che lo fa assomigliare a un pacchetto software, e la sua mancanza di quell’infrastruttura fisica di sezioni e circoli che costituiva lo scheletro del partito di massa, il partito piattaforma è un riflesso della natura della società digitale, della sua natura complessa, instabile e virtualizzata e delle nuove sfide che essa pone al processo di organizzazione politica.

Questa nuova forma di partito risponde alla domanda di partecipazione che viene da una cittadinanza sempre più alienata dalle forme organizzative dei partiti tradizionali e dalle istituzioni. Lo fa mobilitando l’immaginario partecipativo e le nuove pratiche di collaborazione e cooperazione di massa offerte dalle tecnologie digitali al tempo dei social e delle app come mezzi per costruire nuove forme di democrazia. Nonostante gli elementi promettenti di questa forma organizzativa è necessario considerare i rischi che sono insiti in essa; rischi che hanno in buona parte a che fare con la realtà solo parziale della promessa di nuova partecipazione e disintermediazione che accompagna il discorso di queste formazioni.

In primo luogo, se il cuore pulsante di questi partiti sono le piattaforme decisionali, che permettono alla cittadinanza di partecipare direttamente a discussioni e votazione su politiche, incarichi, e candidature, il raggio di azione dei militanti è comunque piuttosto circoscritto. Le discussioni e decisioni condotte su tali piattaforme vengono moderate in maniera più o meno evidente da uno staff di partito. Inoltre esse spesso assumono le forme di un vero e proprio plebiscitarismo elettronico, in cui il voto degli iscritti è ridotto alla scelta binaria SI/NO e rischia di divenire un semplice segno di assenso ai voleri del capo.

In secondo luogo, a dispetto del discorso sulla democrazia diretta spesso proposto dai settori più libertari di quest’area politica, queste forme di democrazia digitale non eliminano la presenza di strutture gerarchiche. La superbase delle piattaforme decisionali va a braccetto con l’iperleader, una leadership personalizzata e centralizzata, con una persona al comando, che si propone nel ruolo di portavoce e garante del partito, ed in tal modo acquisisce un forte potere nel definire la sua direzione politica. Questa situazione suggerisce la necessità di abbandonare le visioni ingenue della democrazia digitale, come democrazia diretta. Le piattaforme decisionali devono essere piuttosto intese come uno spazio di confronto e conflitto tra base e leader e di costruzione del consenso nel quadro dei rapporti di forza tra base e vertice.

Un altro problema riguarda la virtualizzazione del partito, il rischio che la sua dipendenza da interazioni digitali vada a svantaggio del suo radicamento fisico e territoriale. Come visto la partecipazione digitale introduce un rischio di atomizzazione, in cui le decisioni vengono prese si collettivamente ma a partire da una situazione di estrema individualizzazione. Per ovviare a questo rischio partiti come Podemos e il MoVimento 5 Stelle hanno già da tempo insistito sull’importanza della partecipazione faccia a faccia, e della partecipazioni a riunioni e assemblee, per creare una comunità politica capace di radicare il partito nella quotidianità. Dentro Podemos recentemente si è discusso molto della necessità di dare al partito una più forte articolazione territoriale, come visto nella creazione delle Casas Moradas, sorta di nuove case del popolo, che puntano a creare aggregazione a livello culturale, e fare formazione politica e culturale.

Un ultimo rischio che vale la pena menzionare in queste conclusioni è quello di un eccessivo ecletticismo e opportunismo programmatico. Questo rischio è particolarmente visibile nel MoVimento 5 Stelle che ha spesso cambiate politiche in modo erratico, ad esempio per inseguire l’elettorato di destra sulla questione della migrazione. Questa tendenza può minare l’identità dei partiti digitali e la loro coerenza politica. In fin dei conti come vale per molte cose e tanto più per la politica, quello che conta non è solo la forma, ovvero la struttura organizzativa di cui si dotano i partiti politici, ma pure il contenuto, la strategia politica e la proposta programmatica. Il partito piattaforma sarà pure un partito nuvola, ma esso non può essere inconsistente come le nuvole. Ha bisogno di una coerenza, e di un certo grado di riconoscibilità per sopravvivere nel lungo periodo.

In conclusione, possiamo aspettarci che nei prossimi anni diverse forze politiche si cimenteranno nella costruzione di organizzazioni modellate sulla falsariga del partito piattaforma, per rispondere alla trasformazione delle forme di esperienza collettiva, e catturare la forza cooperativa e collaborativa delle reti sociali. Questi partiti avranno successo nel grado in cui essi non cadranno nell’illusione del tecno-utopismo facilone a cui purtroppo credono ancora molti attivisti e se troveranno il giusto bilanciamento tra la promessa di partecipazione dal basso e la necessità di una direzione effiace della linea politica.

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