Il 4 aprile di quest’anno segna il cinquantesimo anniversario dell’assassinio di Martin Luther King (4 aprile 1968) e costituisce un’occasione importante per riflettere sulle nuove forme del razzismo e sull’eredità del movimento per i diritti civili.
Il movimento guidato dal reverendo Martin Luther King, dopo dieci anni di lotte condotte secondo la pratica della disobbedienza civile non-violenta, riuscì a ottenere l’approvazione del Civil Right Act (1964) e del Voting Right Act (1965) che sancivano, almeno sul piano formale, la fine della segregazione negli Stati del Sud e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nell’esercizio del diritto di voto.
Negli anni seguenti, influenzato anche dalla critica mossa dal movimento del Black Power ai limiti dell’uguaglianza formale, Martin Luther King riorientò la sua lotta contro le cause economiche della disuguaglianza e per l’ottenimento di maggiori diritti sociali. Il movimento di King segnò l’apice della lotta contro le discriminazioni tra cittadini negli Stati Uniti d’America.
Marcia su Washington per il lavoro e la libertà. 28 agosto 1963
Quarant’anni più tardi, l’amministrazione Obama, inizialmente interpretata da molti come il coronamento della storia delle lotte per l’emancipazione nera, ha segnato in realtà la fine dell’illusione neoliberale secondo cui gli Stati Uniti erano ormai diventati una color-blind society, capace cioè di garantire uguali opportunità a tutti i suoi cittadini. Un elemento che ha trovato ulteriori conferme con la presidenza di Donald Trump, il cui discorso politico ha ridato legittimità alla cultura razzista che anima una parte della destra americana. Sebbene non esistano più discriminazioni formali, la società statunitense è attraversata da un razzismo strutturale che perpetua la marginalizzazione e lo sfruttamento economico della popolazione non bianca. Come hanno mostrato Michelle Alexander e Keeanga-Yamahtta Taylor, le nuove forme del razzismo agiscono soprattutto attraverso le politiche securitarie che criminalizzano le classi più povere, e quindi specialmente la comunità afroamericana e quella ispanica. La violenza della polizia, contro cui è nato il movimento Black Lives Matter, fondato nel 2013 da Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, è solo la punta dell’iceberg di una profonda disuguaglianza di classe e di razza che si manifesta specialmente nell’alto tasso di incarcerazione (sei volte superiore a quello dei bianchi), nell’ipersorveglianza e nell’emarginazione urbana, nei bassi salari e nel minore accesso alla sanità e all’istruzione. In tale contesto, l’eredità delle lotte per i diritti civili appare significativa specialmente per la pratica della resistenza non violenta come azione volta a mostrare la violenza del potere e a suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica e l’attivismo politico. Una delle forme della protesta di Black Lives Matter è stata infatti improntata alla diffusione di video e immagini sulla violenza della polizia tramite i social network. Non da ultimo, l’orientamento verso le cause economiche delle disuguaglianze razziali che Martin Luther King adottò negli ultimi due anni della sua vita è oggi al centro delle lotte antirazziste.
Consigli di lettura:
M.L. King, Jr., The Radical King, ed. by C. West, Boston, Beacon Press, 2016.
Keeanga-Yamahtta Taylor, From #BlackLivesMatter to Black Liberation, Chicago, Haymarket Books, 2016.
Michelle Alexander, The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness, New York, The New Press, 2010.
Ta-Nehisi Coates, We Were Eight Years in Power. An American Tragedy, New York, One World Publishing Co., 2017.