Al termine della lettura, è possibile consultare gli approfondimenti che costituiscono la seconda e la terza parte dell’articolo: L’alternativa fra reazionari e progressisti,
L’alternativa fra popolo ed élite
Se è vero che la contrapposizione fra destra e sinistra ha perso il suo significato tradizionale, è altrettanto vero che non sono smarrite le ragioni della loro dialettica politica. La globalizzazione ha infatti reso il conflitto sociale più pressante che mai ma sono svanite le organizzazioni di massa e le impalcature ideologiche che in quel conflitto facevano chiarezza. In questo quadro, la crescita di consensi dell’alt-right trova ragion d’essere in tre nessi fondamentali: la questione geografica e la conseguente opposizione fra mondialisti e nazionalisti, la questione psicologica che rende più realistica ed appetibile la narrazione reazionaria rispetto a quella progressista e la questione democratica inerente la costruzione del nemico che le destre indicano in attori reali mentre le sinistre per molto tempo hanno indicato nel generico “populismo”.
Ne Il ritorno dei nazionalismi (2015), Eva Giovannini racconta il suo viaggio di studio nel mondo dell’Alt-Right europea, proponendone una vera e propria fenomenologia. Significativo è l’esempio di Margate: cittadina costiera a ovest di Londra che, una volta creata Ryanair con i suoi voli economici per mete alternative, ha smarrito la sua vocazione balneare e di soggiorno festivo, impoverendosi e desertificandosi. Mai come a Margate è chiara la distinzione fra il mondo dei frequent flyers che della globalizzazione si avvantaggiano e coloro che vivono ancorati ad un territorio che ne subisce le conseguenze in termini di costi innanzitutto economici e secondariamente sociali. Nel 2015 nel collegio di Margate l’Ukip, partito nazionalista xenofobo, fa un risultato eccezionale, arrivando secondo ai conservatori col 25% dei consensi, terzo a molti voti di distacco il Labour.
È Margate un territorio che, al netto della riconferma dello storico parlamentare conservatore, nel 2015 vira verso l’estrema destra? Ad uno sguardo superficiale sembrerebbero in effetti più calzante riferirsi ad altre categorie, come quelle usate da Marine Le Pen ad esempio nell’intervista nella quale le chiedono di definire la propria appartenenza politica: «Sur ce sujet, je n’ai jamais changé d’avis. Comme je ne crois pas à la fracture gauche-droite. Pour moi, c’est une fracture artificielle, qui a pu exister par le passé, mais qui aujourd’hui ne représente plus rien. (…) Or, pour moi, la différence est entre les nationaux et les post-nationaux, autrement dit les mondialistes».
Nel mondo dopo l’89, da ogni parte definito post-ideologico, la politica è tornata ad essere il campo delle rivendicazioni e non delle appartenenze precostituite: il voto è volatile e cambia a seconda del grado di convincimento dei cittadini della bontà di un progetto o di un altro in rapporto alle proprie condizioni materiali, senza bisogno di etichettare la propria preferenza secondo categorie politiche più o meno attuali.
In questo senso, le tradizionali categorie di destra e sinistra risultano inefficaci a descrivere la realtà, nella misura in cui non sono più vettori né di mobilitazione né di costruzione di identità politiche, specialmente se si tratta di giovani generazioni. Tuttavia, la globalizzazione ha generato conflitti importanti, onnipervasivi, che poco hanno da invidiare alle ideologie novecentesche propriamente dette. Uno di questi è senz’altro quello che contrappone gli interessi della classe media occidentale alle logiche della finanziarizzazione del sistema economico. La prima, vittima di delocalizzazioni produttive, di una tassazione sul lavoro spesso più alta di quella sui grandi patrimoni e di perdita di capacità decisionale democratica ormai solo formale a vantaggio del potere sostanziale delle multinazionali, il secondo che si muove sull’asse del capitalismo finanziario globale, che trae i propri più significativi proventi dalle rendite del capitale e non dal lavoro, che ha interesse al massimo della mobilità geografica di merci e investimenti e al minimo dell’intervento pubblico e statale nella regolamentazione dei mercati.
In questo quadro, è difficile dire quale forza politica si ponga come principale interlocutrice di quella classe media che sta scivolando nell’impoverimento. La prima grande intuizione dell’alt-right è stata quella di rivendicare la territorialità dell’azione politica, ossia il principio per il quale le decisioni rilevanti per il benessere della comunità debbano valere in quanto prese dalla comunità stessa e non demandate a luoghi decisionali etero-posizionati.
La domanda non è quindi per chi votano tutte le Margate d’occidente, le Rust Belt che hanno scelto Trump, i distretti deindustrializzati di Francia per Le Pen ecc. ma per cosa votano. Una determinante fondamentale del voto all’alt-right è il mito del ritorno ad una passata grandezza ora perduta.