Il tema della dimensione “locale e comunitaria” nelle politiche pubbliche sta diventando centrale nel dibattito globale ed europeo, in particolare rispetto ai nuovi approcci nelle agende di sviluppo territoriale e urbano. Sullo sfondo, si collocano: i) i fenomeni di contrazione delle prestazioni del welfare pubblico, le difficoltà di rispondere alle domande articolate di una società di minoranze; ii) la grave congiuntura economica di molti paesi della EU e la crisi fiscale dei governi locali; iii) l’emergere dei comportamenti riflessivi e di protagonismo da parte delle comunità locali, o delle comunità di pratiche dei makers urbani. I processi di trasformazione delle città ne sono direttamente influenzati: iniziative di riuso e valorizzazione delle aree urbane dismesse o residuali sono direttamente promosse e agite da gruppi, associazioni di quartiere, cooperative o da quelle che, in Italia, si cominciano a chiamare “imprese di comunità”.
Il dibattito sul ruolo che la keyword comunità ha negli anni mantenuto un costante e rilevante interesse, sia nelle scienze sociali in termini generali sia negli studi urbani e territoriali (Tricarico, 2017). Contemporaneamente, l’utilizzo del sostantivo è cresciuto nel linguaggio dei mezzi di comunicazione, come connotazione ed innovazione a concetti tradizionali in una prospettiva di maggior consenso e risalto (dalla portineria alla scuola, dalla fondazione alla banca); oppure come parametro essenziale per il funzionamento delle reti di pratiche che utilizzano strumenti di aggregazione informatici e digitali.
L’origini di questa rinnovata attenzione sembra oggi derivare dal potenziale che il concetto di comunità ha nelle nuove e variegate formule della comunicazione politica, contraddistinta dalla crisi e nella sfiducia nelle formule classiche di democrazia rappresentativa e della partecipazione, in quasi tutti i paesi con economie avanzate da almeno un quinquennio (in particolare nei Paesi dell’area Europea). Una crisi che, in particolar modo nelle aree territorialmente svantaggiate, ha visto la crescita dei movimenti politici anti-sistema e dei partiti che si schierano contro la “società aperta” (Popper, 1945)
La risonanza nella dimensione polivalente delle “comunità” potrebbe quindi giocare un ruolo potenziale nella ricerca di nuovi significati ideologici, in risposta alla riconosciuta incapacità dei top-down government e delle “burocrazie” di proporre politiche e regole capaci di assicurare eguaglianza e libertà tra gli individui (Sen,1990), derivante da quello che Habermas (1984) ha definito come “convinzione che i bisogni della comunità possano essere categorizzati e recepiti a distanza”.
In questa fase storica che il geografo critico Erik Swyngedouw (2011) ha definito come “disappearance of the political”, e come “erosione della democrazia e della sfera pubblica”, il termine comunità sembra prestarsi nella restituzione di un significato alla “contestata emergenza di una configurazione socio-spaziale post-politica o post-democratica”. Più in generale il termine viene assunto come legato a qualsivoglia forma di community action (Gallent & Ciaffi; 2014:5) ossia la spinta verso il diritto, che gruppi di individui hanno nel “controllare ed avere la responsabilità diretta della propria esistenza”.
Venendo alle politiche urbane, il ruolo dell’importanza di “sperimentare politiche” a “scala di comunità” è stato fortemente enfatizzato dall’agenda UN Quito Habitat III. Il programma incoraggia infatti l’adozione di approcci comunitari nelle pratiche di housing e di produzione e gestione delle risorse naturali, come nuovo strumento per la realizzazione di uno sviluppo territoriale sostenibile (UN, 2016). Da almeno un decennio, nelle agende di sviluppo dei paesi del sud del mondo, UN Habitat promuove approcci basati sullo sviluppo di asset a gestione comunitaria, considerati come viatico essenziale per l’accesso alle risorse, un processo che si realizza tramite il mutuo apprendimento (co-produzione di conoscenza) tra istituzioni e comunità locali (Arefi, 2008). Dove la formalizzazione di un’imprenditoria comunitaria” diventa strumento per l’empowement e la sperimentazione “dal basso” di “diritti democratici” (Sanoff, 2000).
Figura 1. In Inghilterra, Repowering London offre servizi di assistenza alle iniziative di “imprese di comunità” produzione e gestione di energia elettrica a scala locale
Nell’Unione Europea il Patto di Amsterdam (EU, 2016) ha riaffermato la necessità di sostenere approcci comunitari nelle European Innovation Partnership, con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo di formule imprenditoriali inclusive come espediente di sviluppo sostenibile e coesione sociale.
Tra i diversi programmi sostenuti dalla commissione, Urban Innovative Actions (finanziato dai fondi strutturali) sembra sposare più di tutti questo tema, restituendo enfasi alla necessità di includere settore privato e società civile nelle politiche, riconoscendo formule comunitarie di impresa come strumento chiave nelle politiche di sviluppo urbano sostenibile. Come strumento di sperimentazione economica e di cittadinanza attiva:
“organizations as well as individuals and end-users external to the urban authorities are increasingly willing to contribute in finding and implementing new solutions to the most pressing societal challenges” (UIA, 2017).
In Italia, la ricerca di pratiche di sviluppo territoriale afferenti al tema dell’imprenditoria comunitaria e sociale sono individuabili nel framework di policy delle “Aree Interne” (Sanna and De Bernardo, 2015). Queste esperienze riconoscono in nuove forme di impresa collettiva identificabile come “imprese di comunità” come dispositivi volti a superare le barriere che élite locali pongono all’inclusione di innovativi “agenti di sviluppo locale” (Calvaresi, 2016).
Figura 2. Il report UN Habitat di Arefi (2008), il primo report UN ad affermare la necessità di approcci asset-based allo sviluppo di comunità.
Il concetto di comunità è dunque un tema di grande importanza, che supera la dicotomia politica tra centri e periferie e sposta l’attenzione sulla capacità che gli individui hanno di sperimentare “dal basso” le proprie capacità di auto-organizzazione. Come nuova formula di abilitazione di protagonismo sociale nella gestione di beni collettivi e nello sviluppo di servizi innovativi.
Nella giornata di approfondimento “Imprese, Comunità Territorio” discuteremo di come questi tre concetti in Europa e in Italia sembrano ricondursi ad uno dei fronti dell’ampio dibattito sull’innovazione negli approcci alle politiche economiche, come uno dei rimedi per affrontare la contingente ri-organizzazione del settore pubblico in un’ottica di austerità (Tricarico e Zandonai, 2018).
Questione che vede lo scontro tra chi vede la minaccia del taglio gestionale e proprietario del settore pubblico come motivo di esclusione e chi osserva le opportunità offerte da nuove organizzazioni imprenditoriali come viatico alla valorizzazione degli asset pubblici, senza tralasciare l’inclusione sociale, a partire da un cambio di paradigma che dia maggiore responsabilità alle comunità locali nell’interpretare i contesti territoriali.
Nelle politiche di sviluppo urbano e territoriale, la sperimentazione di strategie volte a promuovere organizzazioni ed imprese a matrice comunitaria sta dunque sollevando un vivace dibattito tra studiosi, practitioners e policy-maker interessati alla diffusione di queste pratiche.
In Italia ed in Europa, numerose esperienze di attivazione ed auto-organizzazione si stanno formando a partire dalla necessità di sviluppare servizi e spazi a nei territori che queste abitano, nelle più disparate forme di movimenti, associazioni, cooperative ed imprese inquadrabili come organizzazioni “ibride”. I percorsi non sono omologati, queste organizzazioni sviluppano infatti conflitti ed alleanze tra attori pubblici e privati, sollevando questioni e aprendosi a opportunità di interesse collettivo.
Figura 3. Tra i relatori del 28 Marzo sarà presente Reniout Kleinhans (TU Delft), autore del volume Entrepreneurial Neighbourhoods: Towards an Understanding of the Economies of Neighbourhoods and Communities (Edward Elgar Publishing)
Grazie al contributo di diversi studiosi che stanno affrontando il tema, l’iniziativa “Comunità, Impresa e Territorio” intende restituire una prospettiva trasversale sui modelli interpretativi e sulle “aree di intervento” che queste pratiche intercettano: dall’attivismo culturale alla rigenerazione urbana, dai nuovi luoghi del lavoro a nuove formule di sussidiarietà orizzontale nella gestione di spazi e servizi pubblici. Argomenti in cui i concetti di comunità ed impresa si confrontano, evidenziano esiti ed impatti socio-territoriali inattesi che rilevano aspetti critici e opportunità inespresse.
Tra gli argomenti discussi dai relatori verranno passate in rassegna teorie, casi studio internazionali, sperimentazioni e politiche che stanno affrontando il tema negli ultimi anni, provando a ridiscutere i perimetri di ambti di policy considerati tradizionalmente distanti: l’impresa, la cittadinanza attiva e le agende di sviluppo urbano e territoriale.