Ricercatore Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Negli ultimi anni diverse aziende hanno scelto di utilizzare i robot in sostituzione degli umani per aumentare la produttività e ridurre al contempo i costi.

La società giapponese Spread produce 30.000 capi di lattuga ogni giorno, avvalendosi esclusivamente di una forza lavoro androide. La catena americana di hotel YOTEL impiega personale robotico per trasportare i bagagli dei clienti, consegnare il bucato e pulire le stanze, con braccia automatizzate che si spostano liberamente all’interno degli hotel.

Dal Giappone passando all’America, vediamo come le macchine stiano già rimpiazzando gli umani sul posto di lavoro. Dobbiamo però essere consapevoli che non si tratta di una novità. Una delle caratteristiche dell’innovazione tecnologica è sempre stata quella di rendere obsoleti alcune professionalità: il telefono mise fuori mercato i telegrafisti, il computer le dattilografe. Tuttavia alla perdita di posti di lavoro nei settori interessati dalle innovazioni di processo e prodotto, si è costantemente accompagnata una rapida creazione di nuova occupazione per il sistema economico nel suo complesso.

 

Spread. Azienda Giapponese che ha scelto di utilizzare i robot per aumentare la produttività nel settore alimentare

 

C’è però un tratto che distingue la Quarta rivoluzione industriale dalle rivoluzioni tecnologiche che l’hanno preceduta: la velocità con cui tende a soppiantare il fattore lavoro, anche nei compiti in cui il contributo dell’uomo era finora apparso insostituibile. Come far sì allora che, a eccezione dei casi aziendali precedentemente esemplificati, la riduzione dell’occupazione all’interno di aziende possa essere compensata da un suo aumento indiretto sul territorio?

La risposta non è ovvia, ma nel corso di questa epocale trasformazione il ruolo delle imprese – e dunque del capitale umano che le animano – è quanto mai fondamentale. Lo è poiché il settore privato, da sempre, contribuisce a promuovere occupazione attraverso innovazione, in maniera diretta e indiretta. Ma affinché oggi questo sia possibile, è necessario abbandonare i vecchi modelli tradizionali di impresa a favore di logiche innovative nella gestione di azienda, capaci di riconoscere l’organizzazione come attore facente parte di un ecosistema territoriale e in grado di contribuire al suo benessere.

Innanzitutto oggi promuovere innovazione significa, come ricorda Jacob Morgan, Co-Fondatore di FOW Community, riconoscere che essa non avviene più solo esclusivamente all’interno delle mura aziendali: le migliori idee e le persone più intelligenti possono essere ovunque. È infatti oramai chiaro che stare su mercati che evolvono rapidamente – e a volte “distruttivamente” – significa riconoscere lo sviluppo del business come un sistema senza confini: ciò che accade fuori va considerato alla stregua di ciò che nasce dentro, purché coerente con il business model dell’azienda. In tale prospettiva, il paradigma dell’Open Innovation porta indubbi vantaggi alle imprese tra cui: stimolare l’innovazione aziendale su temi chiave per il business con input esterni; fare aumentare le competenze del capitale umano interno all’azienda; apportare benefici a livello di creazione di valore condiviso potendo sviluppare idee e talenti di giovani.

In questo senso, se le grandi aziende riconoscono e valorizzano il contributo delle startup che trovano soluzioni anche radicalmente innovative per risolvere i problemi in una logica di sostenibilità, il settore privato può farsi volano di un ecosistema di imprese innovative, cui si accompagnano nuove professionalità e potenzialmente nuova occupazione.

È questo il caso di aziende italiane come Ferrovie dello Stato che, come afferma Luca De Biase, “da classica grande impresa che negli anni ha ristrutturato e sostituito umani con macchine, oggi si presenta come una realtà capace di adeguarsi alla trasformazione più generale del contesto, sia tecnologico che economico”, proprio perché l’azienda pensa in termini di ecosistema e contribuisce in modo decisivo al suo sviluppo.

Open innovation dunque, ma anche ecosystems thinking che vuol dire appunto concepire la propria organizzazione all’interno di un ecosistema e il proprio operato funzionale a migliorarne le condizioni economiche, sociali e ambientali.

Guardare dunque al futuro costruendo una prospettiva comune, di ecosistema in cui i differenti attori collaborano per la creazione e la distribuzione di valore, e riconoscere che la tecnologia non si sviluppa senza l’apporto del capitale umano, significa affrontare con consapevolezza i cambiamenti in atto e sviluppare una “rappresentazione del mondo” funzionale a promuovere un rapporto di coesistenza tra uomini e macchine nel mercato del lavoro.

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