Università Humboldt di Berlino

Dagli anni ‘70 la natura del capitalismo è cambiata, passando da un “capitalismo integrato” dal punto di vista sociale (Polanyi) verso il “neoliberismo”, la “deregolamentazione”, la “globalizzazione” e la “finanziarizzazione”. L’equilibrio tra stato e mercati si è spostato a discapito delle istituzioni democratiche. La crescente “denazionalizzazione” dell’economia e del processo di presa di decisione politica è andata di pari passo con la supremazia dei mercati (finanziari) sulla politica. Lo stato democratico ha perso potere nei confronti dei mercati globalizzati deregolamentati. E questo spostamento di potere ha accelerato la crescita delle disuguaglianze socio-economiche all’interno dei paesi OCSE, generando un impatto negativo sulla qualità delle loro democrazie.

Durante gli ultimi 30 anni, è stato osservato un costante calo della partecipazione elettorale in tutti i Paesi OCSE. Il vero problema a cui le attuali democrazie devono far fronte non è solo legato alla diminuzione dell’affluenza alle urne, ma riguarda anche la selettività sociale che ne consegue. E laddove il calo dell’affluenza elettorale è più marcato, maggiore è l’esclusione sociale. È ormai inconfutabile che le classi sociali più basse siano quelle che tendono ad allontanarsi maggiormente dalla politica. Le classi medie e alte continuano ad andare alle urne, e questo non fa che aumentare la loro supremazia, tenuto conto del costante calo della partecipazione delle classi inferiori. È solo in questi ultimi tempi che i partiti populisti di destra stanno mobilitando con successo le classi inferiori.

Elezioni italiane 2018

Considerando l’idea di un voto economico, si potrebbe sostenere che tutti gli elettori con un reddito inferiore alla media dovrebbero votare per i partiti politici che lottano per la redistribuzione. Ma perché questo meccanismo ha fallito negli ultimi decenni?

I socialdemocratici e gli altri partiti genericamente di sinistra, nei loro programmi di partito, continuano a dichiarare di rappresentare gli interessi di quelle classi. Tuttavia, quegli stessi partiti di sinistra, quando sono al potere, si trovano di fronte a un vero e proprio dilemma: se si impegnano davvero in politiche redistributive legate, per esempio, ai salari minimi, al mantenimento del welfare state e alla tassazione dei redditi più elevati, si trovano di fronte alla minaccia, da parte degli investitori, di spostare i capitali e gli investimenti all’estero. Per razionali partiti di centro-sinistra, risulta quindi meno rischioso mobilitare la classe media anziché le classi inferiori.

Il voto economico, in ogni caso, non è l’unico motivo in grado di spiegare perché le elezioni non abbiano arrestato l’aumento delle disuguaglianze sociali. I conflitti socio-economici vanno di pari passo con i conflitti culturali. Questi ultimi possono essere declinati, a livello di atteggiamenti, su una scala di libertarismo-autoritarismo o cosmopolitismo e comunitarismo. In particolare, le classi medie-inferiori e inferiori (principalmente uomini) sono ricettive di fronte a politiche autoritarie, etnocentriche e nazionaliste-comunitarie.

Dalla fine degli anni ‘70, i movimenti di protesta hanno iniziato a concentrarsi più su questioni culturali che economiche. L’importanza dei sindacati è diminuita. La democrazia rappresentativa non ha ancora trovato antidoti efficaci contro la patologia della disuguaglianza socio-economica e politica. Le contromisure proposte dalle teorie democratiche, dai referendum alle assemblee deliberative passando per il monitoraggio o la contro-democrazia possono salvare le balene e le specie in via di estinzione, possono limitare la corruzione e le violazioni dei diritti umani. Che è già molto, ma hanno scarsa rilevanza per dare una nuova regolamentazione ai mercati, per ripristinare il welfare sociale e fermare le crescenti disuguaglianze. La svolta culturale della politica democratica progressiva ha dimenticato il problema della ridistribuzione economica e ora non ha una cura per la malattia più evidente della democrazia: la disuguaglianza sociale, economica e politica.

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