Università di Milano-Bicocca

 

Il lavoro sta attraversando una trasformazione che apre serie preoccupazioni sulle prospettive delle società contemporanee. Si discute soprattutto sulla possibilità che i processi di innovazione tecnologica legati alla robotica e all’intelligenza artificiale possano cancellare nei prossimi decenni decine di milioni di posti di lavoro e alimentare una diffusa disoccupazione di massa. Se guardiamo però alle trasformazioni degli ultimi decenni e alla situazione attuale – dove già la robotica e l’intelligenza artificiale sono operative nell’industria manifatturiera e in alcuni rami del terziario – non sembra che il risparmio tecnologico di lavoro e la diminuzione dell’occupazione costituiscano il problema principale del cambiamento. Al contrario, anche nei paesi industriali avanzati l’occupazione è in crescita, la diminuzione nelle industrie manifatturiere – dovuta soprattutto alla competizione globale e alla ristrutturazione industriale ancora più che al risparmio tecnologico (in altre parole sono i cinesi e non i robot a distruggere posti di lavoro nei paesi a più vecchia industrializzazione) – è più che compensata dall’aumento dell’occupazione nel terziario.

Le vertenze in primo piano oggi riguardano soprattutto l’eterogeneità e l’instabilità dei nuovi lavori, la diffusione di lavori temporanei, precari, poco retribuiti che non permettono condizioni di vita decenti, inserimento sociale, protezione e partecipazione e accesso ai diritti sociali di cittadinanza. Inoltre in parallelo alla diffusione di forme occupazionali problematiche si è consolidata un’area estesa di persone, soprattutto giovani e donne, che restano disoccupate per un lungo periodo o che sono scoraggiate a cercare un lavoro decente che per loro non c’è. Per poter mettere a fuoco l’impatto sociale delle trasformazioni del lavoro conviene aprire una parentesi sul significato complesso del lavoro nelle nostre società.

 

Bikers di Deliveroo

 

Nelle società fondate su mercificazione e individualizzazione il lavoro retribuito assume un significato centrale su fronti diversi. Il lavoro costituisce la principale fonte di reddito e permette l’accesso al consumo di risorse necessarie per sopravvivere ma anche per accedere a un tenore di vita e a uno status sociale che consenta l’inserimento in un gruppo sociale con abitudini di consumo simili. Il lavoro è anche, allo stesso tempo, fonte di identità sociale e di autorealizzazione e di confidenza in se stessi, in parte indipendentemente dal livello del reddito. Inoltre spesso è proprio attraverso il lavoro che gli individui accedono ai diritti sociali, alla protezione pubblica e privata di welfare, a rappresentanza e partecipazione associativa e politica. I tre campi hanno logiche diverse e la trasformazione del lavoro va considerata rispetto al suo impatto sia in termini di reddito e tenore di vita, sia di identità sociale e autorealizzazione, sia di partecipazione e accesso ai diritti sociali. I nuovi lavori o l’esclusione del lavoro aprono vertenze su tutti e tre i fronti. Così il contrasto agli effetti negativi della trasformazione del lavoro non riguardo solamente la compensazione del deficit di reddito attraverso forme di redistribuzione delle risorse (sussidi) o del lavoro (lavorare meno per lavorare tutti) ma anche modalità di diffusione della conoscenza e della professionalità che consentano a tutti opportunità di realizzarsi e di inserirsi in contesti lavorativi complessi e dinamici e lo sviluppo di protezioni universalistiche e partecipate all’interno di processi di crescita che siano socialmente sostenibili e non solo competitivi e ad alta produttività.

La trasformazione del lavoro oggi in atto ha effetti controversi su tutti i significati che il lavoro assume. È vero che il cambiamento non si traduce in forme croniche e progressive di distruzione tecnologica dei posti di lavoro. È anche vero però che in nessun contesto è in atto quella redistribuzione del tempo di lavoro consentito dall’aumento della produttività che Keynes prevedeva negli anni ’30 come antidoto alla disoccupazione tecnologica. Anzi i processi redistributivi tendono ad amplificare l’impatto negativo del cambiamento disegnando forti e crescenti diseguaglianze a sfavore degli immigrati, dei giovani e delle donne che entrano nel mercato del lavoro, particolarmente dei soggetti a più bassa scolarità e professionalizzazione. Tutto questo in contesti demografici largamente alterati dall’invecchiamento della popolazione dove, al netto dell’immigrazione, le coorti di giovani che entrano nel mercato del lavoro sono sempre meno numerose e sempre più scolarizzate e dove quindi, in teoria, la discriminazione negativa del mercato non dovrebbe prodursi.

Sono le caratteristiche di eterogeneità e instabilità dei nuovi lavori che hanno effetti negativi discriminanti rispetto a settori larghi della popolazione. Queste caratteristiche non dipendono soltanto dalle innovazioni tecnologiche ma anche dalla riorganizzazione globale dei processi produttivi e dalla debolezza della regolazione pubblica.  Gli effetti di discriminazione, diseguaglianza e polarizzazione non sono sufficientemente compensati da politiche efficaci in termini di redistribuzione di risorse e di lavoro, di professionalizzazione e di formazione continua, di ridisegno dei sistemi di protezione e partecipazione rispetto a rischi differenziati.

Gli effetti negativi sono presenti in ogni contesto ma variano in condizioni nazionali e locali diverse. Gli investimenti pubblici in forme partecipate e innovative di protezione sociale, in formazione continua e potenziamento educativo e di professionalizzazione contribuiscono a contrastare gli effetti negativi della transizione. Lo stesso si può dire della capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di capire e anticipare i cambiamenti con forme attive di partecipazione, di solidarietà e di valorizzazione dell’autonomia professionale. Anche le imprese possono governare meglio il cambiamento del lavoro se adottano strategie che non mettono al primo posto la produttività e competitività nel breve termine ma piuttosto la sostenibilità sociale e la stabilità delle trasformazione dei loro processi produttivi in un periodo più lungo.

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 40428\