Negli ultimi anni, non solo tutte le forze politiche – di destra e di sinistra – che hanno sfidato i partiti politici tradizionali, ma anche molti movimenti sociali sono stato definiti populisti. Ad accomunarli sarebbe l’insistita polarizzazione tra ‘popolo’ ed ‘elite’ e la rivendicazione della sovranità popolare come elemento fondamentale della lotta politica. Alcuni studiosi hanno definito per questo ‘populisti’ movimenti come gli Indignados, Occupy o la Nuit Debout.
La vastità dei soggetti a cui questa etichetta è applicata suggerisce un cambio di prospettiva. Più che utilizzarlo come definizione di questo o quell’attore politico, è interessante considerare il populismo il principale campo d’azione del Politico in questa fase storica. Tutte le forze che ottengono consensi elettorali (compresi i partiti mainstream), e tutti i movimenti che guadagnano un sostegno diffuso, agiscono all’interno di questo campo.
Indignados in Costa Rica, 2014
Il ‘campo populista’ definisce i confini di una rinnovata frattura tra democrazia (politica e sociale) e oligarchia. Tornano, in queste contesto, le retoriche e le rivendicazioni del periodo tra fine Settecento e fine Ottocento: la virtù contro la corruzione, il basso contro l’alto, i produttori contro i parassiti, il nuovo contro il vecchio, il “popolo” contro “la Corte” (un tempo Versailles, oggi i partiti tradizionali, trattati come un tempo i nobili dell’Antico Regime).
Il successo di chi agisce in questo campo segnala che, usando il linguaggio di Gramsci, nella politica contemporanea c’è una nuova oscillazione dalla «guerra di trincea» (in cui le alternative politiche sono comprese negli assetti esistenti) alla «guerra di movimento», in cui ad essere in gioco sono le forme generali della politica e dell’economia.
Il fatto che negli ultimi vent’anni la politica – la politica di parte, quella capace di introdurre conflitto e dibattito – sia stata ampiamente neutralizzata dall’economia e dalle istituzioni sovra-statali, ha costruito, per reazione, un campo d’azione anti-oligarchico (in cui spesso l’oligarchia è identificata con la sua parte più visibile anche se forse più debole, la classe politica), caratterizzato dalla frattura tra ‘entità totali’, tanto vaste quanto eterogenee, come ‘i cittadini’ e l’élite.
Chi agisce nel campo populista offre rappresentanza, in forme diverse, alla richiesta pressante di un ritorno del Politico, cioè di ciò che è stato rimosso. Come compensazione (o lotta) alla neutralizzazione della sovranità popolare, offre quindi protezione, identità, sicurezza, protagonismo reale o immaginario, senso di appartenenza, solidarietà collettive, riappropriazione dei destini collettivi e individuali.
La rivendicazione della sovranità popolare può assumere le sembianze ‘hobbesiane’ del nazionalismo securitario o quelle progressiste del neo-keynesismo e della costruzione di un nuovo patto sociale: in ogni caso è una richiesta di Stato. Questi due aspetti possono essere presenti anche in uno stesso movimento politico e perfino nei singoli individui: gli atteggiamenti delle popolazioni europee sono diventati un insieme contraddittorio di volontà di partecipazione diretta, affidamento al capo, ribellismo, ideale della democrazia diretta, favore per la riduzione della democrazia e per l’eliminazione dei partiti, egualitarismo, retorica meritocratica.
Non si tratta solo di atteggiamenti di individui e gruppi. Queste due inclinazioni opposte ma spesso co-presenti hanno alla base un vasto cambiamento storico: nel capitalismo contemporaneo tendono ad assottigliarsi le linee di divisione tra economia, politica, cultura, comunicazione, ideologia, relazioni sociali. A fondamento della modernità c’era la differenziazione tra questi ambiti sociali. Attualmente questo processo si inverte e gli ambiti si unificano. A questa unificazione verticale degli ambiti sociali si accompagna la frammentazione dei soggetti sociali.
Questo mix tra verticalità e frammentazione caratterizza i soggetti sociali come i modelli politici, creando, appunto, un ‘campo populista’ in cui si unificano la verticalità decisionista e/o plebiscitaria basata sul leader e sul carisma, la frammentazione e l’orizzontalità della partecipazione dei cittadini su base più individuale che collettiva.
La rivendicazione politica e il soggetto evocato per avanzarla, in questo contesto, possono assumere solo il carattere di una “Totalità”, di un tutto compatto (il cittadino, il popolo, la gente), invece che quello di soggetti parziali portatori di interessi collettivi (come il lavoratore o ‘la classe). Inoltre, la partecipazione e l’inclusione di ciò che è ancora esterno al perimetro istituzionale (la sempre evocata società civile) diventano elementi permanenti della retorica politica anche perché sono caratteristiche essenziali della produzione e del consumo contemporaneo: i media e le imprese non cercano più il consenso passivo di spettatori, lavoratori e consumatori, hanno bisogno di un consenso attivo e partecipante. Anche per questo quella della «partecipazione» diventa una retorica pervasiva.
Il campo populista, quindi, sposta i conflitti politici e sociali su un piano più generalizzato rispetto a quello dei conflitti moderni. È probabile che questa sia una fase storica di transizione tra una forma della politica (quella della democrazia rappresentativa) e un’altra, e che la centralità del campo populista segnali proprio questa transitorietà. Tuttavia nessuno che abbia consenso politico agisce oggi al di fuori della frattura tra sovranità popolare e oligarchia. È un campo spurio, ma chi sceglie di restarne completamente fuori rischia di non essere percepito come attore della disputa.