Nel 2009 il Premio Nobel per l’economia fu assegnato, per la prima volta, a una donna, Elinor Ostrom. Il sommo riconoscimento fu dato alla studiosa per i suoi contributi allo sviluppo di una metodologia di analisi applicata alle pratiche di gestione dei cosiddetti beni comuni o collettivi. Con tale termine si intende un bene di proprietà di una comunità o del quale la comunità può liberamente disporre. Ci si riferisce in questi casi ai common goods della tradizione giuridica anglosassone che comprendono le risorse naturali quali boschi, montagne, oceani, ma anche le falde acquifere, l’atmosfera, l’etere.
Ostrom, nei primi anni novanta, fornì una definizione più problematica di beni comuni in quanto li propose come una risorsa condivisa da un gruppo di persone e soggetta a quelli che definì dilemmi sociali, ossia interrogativi, controversie, dubbi, dispute che possono essere affrontati solo attraverso buone strategie di gestione collaborativa. Solo un tipo di gestione comunitaria accorta, infatti, può evitare sia lo sfruttamento eccessivo dei beni comuni, secondo una concezione privatistica, sia costi amministrativi molto elevati, adottando, invece, una concezione pubblicistica. Secondo questa definizione innovativa di bene comune assume un ruolo fondamentale la gestione politica, prima ancora che economica, del bene stesso, il quale, secondo la studiosa, esiste solo in quanto appartenente a una collettività che ne dispone.
A fare la differenza è, quindi, l’esistenza di una comunità, l’appartenenza che impone agli individui certi diritti di sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere alla sua gestione, manutenzione e riproduzione. Un contributo, quello di Ostrom, particolarmente rilevante nel quadro del dibattito dei primi anni novanta in materia di sfruttamento delle risorse naturali che si sviluppò sulla scia del Rapporto Brundtland del 1987 in cui venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Un contributo quanto mai attuale ancora oggi per due importanti motivi che lo rendono prezioso alla luce della duplice funzione che assume: da un parte, la quanto mai viva necessità per la società contemporanea globale di immaginare, strutturare e implementare modelli di sviluppo sostenibile che comprendano dinamiche di produzione, consumo, mobilità, approvvigionamento energetico in un’ottica di continuità a beneficio delle generazioni future. Dall’altra, la rilevanza delle comunità locali nel farsi protagoniste di un cambiamento sostanziale di cui possono, se opportunamente abilitate, detenere, a buon diritto, l’egida. Ecco, dunque, che proprio attraverso quelle buone strategie di gestione collaborativa delineate da Ostrom, la dimensione locale e quella globale possono trovare una composizione virtuosa a reale beneficio dell’intera Cittadinanza.
Come tali pratiche e strategie prendano forma costituisce oggi materia di grande interesse che si concentra sulle azioni che, una volta implementate, producono risultati superiori a quelli ottenuti con altri mezzi e, come tali, vengono considerate un punto di riferimento. Tale interesse, tuttavia, si estende anche alle competenze necessarie a ideare e mettere in pratica le soluzioni virtuose, così come al contesto normativo e politico-amministrativo che definisce e legittima l’ecosistema costituito da soggetti, pratiche e processi di matrice comunitaria.
In questo quadro, quindi, si innesta la riflessione promossa da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli attraverso diverse iniziative che mette a sistema orientate a indagare la dimensione sociale, politica ed economica di una corretta gestione delle risorse di cui beneficiamo. Ecco dunque, da una parte, l’apertura del bando per il conferimento di una borsa di studio dal titolo Regole, pratiche, innovazioni sociali e nuove economie per un futuro sostenibile finalizzata a identificare, analizzare e valutare un set di policy a livello internazionale in termini di gestione delle risorse per il conseguimento di criteri economici e sociali di sostenibilità.
Dall’altra, il lancio, in collaborazione con Ferrarelle SpA, della Call for Pratices – Buone Pratiche per la gestione sostenibile di acqua e altre risorse comunitarie che si prefigge di mappare esperienze/iniziative/progetti che abbiano applicato i principi dello sviluppo sostenibile a partire dalle risorse idriche in virtù delle molteplici connessioni che queste hanno con i sistemi agroalimentari, le risorse energetiche, l’architettura del paesaggio, l’innovazione tecnologica, la salute umana e, quindi, la qualità della vita.