Nell’immagine, lo storico “dibattito in cucina”: una discussione improvvisata (attraverso interpreti) fra l’allora vice presidente statunitense Richard Nixon e il presidente del Consiglio sovietico Nikita Chruščëv, all’apertura dell’Esposizione Nazionale Americana al Parco Sokolniki di Mosca, il 24 luglio 1959.
Negli anni dell’esplosione della televisione per i dibattiti politici, prima negli Usa e poi in Europa, sembrava che la comunicazione avesse assunto un duplice ruolo: da una parte essa “svelava” la politica e costringeva i politici a un linguaggio più comprensibile; dall’altra parte definiva nuove grammatiche, aprendo la strada alla spettacolarizzazione della politica. Lo stesso dibattito politico divenne rapidamente un “genere” e le valutazioni sull’efficacia comunicativa dei politici sostituiva spesso il dibattito sulle proposte e la loro realizzabilità. La televisione, ovviamente, non aveva inventato né le promesse roboanti (presenti già nel mondo greco e romano) né le menzogne; tuttavia la sua pervasività, la sua capacità di accelerare i flussi informativi determinarono un modo assolutamente nuovo di ridefinire i rapporti di forza nella sfera pubblica nonché le dinamiche di costruzione del consenso. Il fenomeno della mediatizzazione della politica ha accompagnato – con diverse gradazioni – l’evoluzione delle democrazie liberali negli ultimi cinquant’anni.
I media – e più recentemente i social media – si sono affiancati a fenomeni che non hanno però causato: la crisi di credibilità della politica, la delegittimazione delle forme della rappresentanza, la crisi dei partiti di aggregazione di massa come strumenti di regolazione sociale. In qualche caso, i media hanno accelerato tali processi, soprattutto nei casi di evidente disparità informativa fra i diversi contendenti o in quelle situazioni di conflitto di interesse (come in Italia ma non solo) che hanno finito col far perdere legittimità anche al sistema dell’informazione.
Nixon vs. Kennedy, primo dibattito politico in diretta TV
In questo contesto si sono sviluppate tendenze vecchie (ma rinnovate dalla velocizzazione e pervasività della rete) come le fake news o fenomeni variamente interpretati come la cosiddetta post-verità. In realtà, proprio la pluralità di fonti e canali (spesso diffusi proprio grazie ai social media) potrebbe favorire lo sviluppo di potenziali anticorpi alle dinamiche della post-verità; dai siti di fact-checking (esercizio utile ma non sufficiente) a una maggiore attenzione verso il debunking” (cioè l’insieme delle pratiche scientifiche e storiche adottate per confutare e delegittimare affermazioni non verificate o manifestamente false). Cose importanti ma insufficienti se non accompagnate da una presa di responsabilità da parte delle istituzioni e delle agenzie formative nonché dal contrasto alle forme di concentrazione e allo strapotere del capitalismo digitale (più pericoloso delle stesse fake news, come affermava Morozov in un’intervista al Guardian dell’ 8 gennaio 2017).
La comunicazione digitale, tuttavia, ha assunto un ruolo importante anche nelle esperienze di innovazione democratica: dalle forme – prevalentemente top-down – dell’open government alle esperienze più orizzontali di e-democracy o di democrazia deliberativa online. La rete ha così assunto altri significati: spazio di legittimazione delle politiche pubbliche attraverso le consultazioni oppure strumento al servizio di cittadini, istituzioni e imprese e, ancora, opportunità di accesso al dibattito politico. L’emersione della “democrazia liquida” si è spesso affiancata a tendenze tecno-libertarie, che se hanno contribuito all’insorgenza dei tecnopopulismi, hanno pure aperto nuovi potenziali spazi di partecipazione. Finita – apparentemente – la stagione del mediattivismo, i media digitali e la rete sono diventati – apparentemente – nuovi spazi di comunicazione democratica.
Schiacciate fra le rafforzate tendenze autoritarie di governi e apparati di sicurezza globale, le dinamiche più aggressive del neoliberismo digitale e le opportunità di accesso offerte dalle piattaforme di partecipazione democratica, le nuove forme della comunicazione giocano un ruolo non secondario nella trasformazione (talvolta anti-egualitaria) delle democrazie contemporanee.