Nelle società a capitalismo avanzato il settore terziario, dei servizi, della distribuzione, della vendita al cliente, sta acquisendo sempre più importanza, rispetto alla produzione industriale. Questa predominanza è rilevabile anche nel numero degli occupati, addetti/e soprattutto giovani, in gran parte donne, in particolare concentrati nei contesti urbani. Le aperture dei punti vendita del commercio e della grande distribuzione alimentare sono oggi totalmente deregolamentate in Italia, ed è l’unico caso in Europa. A partire dall’attuazione del Decreto “Salva-Italia” a inizio 2012, gli esercenti non hanno alcuna limitazione imposta e possono potenzialmente aprire i negozi 365 giorni all’anno, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, comprese tutte le domeniche e i giorni festivi.
Molti ricercatori e ricercatrici si sono confrontati negli ultimi decenni sul tema della flessibilità del lavoro, intendendo con questo concetto i contratti a termine, parasubordinati e atipici, differenti dal contratto a tempo indeterminato, e le loro implicazioni. Oggi la flessibilità è anche temporale, non solo nell’ambito dello smart work ma anche nel lavoro, poco qualificato e meno remunerato, del settore dei servizi e in particolare della vendita al cliente. Se la flessibilità temporale, per chi lavora autonomamente con un computer portatile, può significare avere maggior libertà decisionale, sul quando e dove lavorare, per chi è addetto/a alla vendita si tratta invece di una sorta di obbligo di permanenza sul posto di lavoro in orari inusuali, nei giorni festivi e di domenica, spesso per paura di ripercussioni, come ad esempio essere trasferiti/e in punti vendita molto distanti.
Questi lavoratori e lavoratrici, per lo più donne, lavorano oggi anche in tempi cosiddetti non sociali, tempi in cui usualmente si resterebbe a casa o ci si dedicherebbe ad altre attività, andare al parco la domenica o in montagna per il fine settimana e le feste. Mi sono dedicata ad una ricerca su tempi e ritmi di lavoro nella vendita al cliente nelle shopping streets di Milano e Londra, e ho potuto appurare, grazie a circa 50 interviste a lavoratori e lavoratrici e 2 focus group, che tali tempi di lavoro condizionano profondamente la vita quotidiana dei dipendenti.
È importante sfatare dei miti, la sociologia e la ricerca sociale hanno il compito primario di indagare e analizzare le relazioni e le criticità superando il senso comune e svelando il funzionamento della realtà sociale senza preconcetti. In Europa non vi sono situazioni simili al contesto italiano. Prendo ad esempio il caso da me analizzato. Prima di tutto, nel Regno Unito vi è un diritto, per legge nazionale e non per accordi tra le parti sociali (datori di lavoro e sindacati), che garantisce la libertà di scelta: chi non vuole lavorare la domenica può optare per non lavorare in quel giorno. Viene definito “the right to opt out of Sunday Working”. Addetti e addette sono semplicemente tenuti a comunicare entro 3 mesi al datore di lavoro la loro decisione. Purtroppo, nelle vie dello shopping spesso i/le dipendenti, molto giovani, non sono a conoscenza di questo diritto, comunque la normativa lo prevede. In Italia non vi è tale diritto, e spesso di fatto nel settore della vendita le domeniche lavorative non sono pagate con una maggiorazione. Inoltre, nel Regno Unito come sappiamo la giornata lavorativa è di 5 giorni, sempre per legge, mentre nel settore dei servizi i dipendenti lavorano in Italia 6 giorni alla settimana. Nel nostro paese, lavoratori e lavoratrici hanno dunque un unico giorno libero, che ricade molto spesso di martedì o mercoledì. Questo vale anche per le madri e i padri con figli, per le donne in gravidanza, per chi ha genitori o parenti anziani da accudire, per i/le giovani che stanno faticosamente costruendo il loro futuro.
Il settore dei servizi, come accennato prima, è interessato da una forte femminilizzazione e le madri e le donne in gravidanza non sono poche. Ho intervistato donne che hanno persino avuto dei problemi durante la gravidanza per il carico di lavoro, inteso anche come tempi di lavoro prolungati e senza riposi adeguati. Spesso le addette alla vendita sono in piedi e non fanno pause adeguate, per poter pranzare, riposarsi e sedersi. La rappresentazione da dare al cliente, l’immagine della commessa, consiste nell’essere e apparire sempre pronte a soddisfare le sue esigenze, vediamo tutti ad esempio nei negozi che non vi sono sedie, solo talvolta qualche sgabello. Tale dinamica è determinata da un desiderio di gratificazione che abbiamo tutti, come clienti, di veder realizzati i nostri desideri nell’immediatezza. La società dei consumi ha sussunto il nostro voler “tutto e subito”, sfigurando i diritti rivendicati negli anni ’60 e ’70 in merce da acquistare e traducendolo nel fenomeno attuale del “sempre aperto”. Si è creata una modalità relazionale fondata sulla gratificazione immediata di ogni desiderio del consumatore, che non può aspettare il lunedì o il 27 dicembre per acquistare una data merce, ma deve poterlo fare subito.
Femminilizzazione nel settore servizi
Questa dinamica sociale ed economica crea, a mio avviso, una situazione di diseguaglianza di potere nell’accesso al tempo. Lavoratori e lavoratrici vedono oggi i loro diritti di cittadini subordinati al “diritto al consumo”. Tale condizione è un paradosso, sia lavoratori che clienti sono cittadini, per questo è necessario, seppur difficile, ripensare a un quadro di regolamentazione, di politiche dei consumi e del lavoro, che riesca a coniugare lavoro (nel settore della vendita) e consumo. Altrimenti vi è il rischio che in futuro l’organizzazione scientifica del lavoro (e del consumo) possa mettere in crisi i legami e le connessioni che strutturano e rendono tale la società stessa. Il tempo per costruire e mantenere relazioni significative, il tempo per sé, per l’introspezione e la costruzione dell’identità, il tempo per progettare il futuro e pianificarlo con consapevolezza, sono (forse) più importanti.