“Ci hanno privatizzato le piazze” disse una ricercatrice durante un incontro nella sede storica della Fondazione, in via Romagnosi.
Eravamo una dozzina attorno ai tavoli usati abitualmente per consultare carte d’archivio e libri storici e allora destinati ad accogliere un workshop sulle nuove economie collaborative.
Stavamo provando ad immaginare uno dei tasselli che avrebbero potuto animare la nuova sede di Viale Pasubio: volevamo individuare un modello di spazio di coworking evoluto, il giro di tavolo serviva a coinvolgere esperienze e idee diverse. Quello fu l’intervento più politico, l’analisi di un bisogno condiviso da molti, e da altri visto con il rammarico del tempo che passa e che ci consegna ad involuzioni tristi quanto inevitabili.
Viale Pasubio
Il tempo recente, quello spazio tra il secondo dopoguerra e gli anni 2000, ha destinato le piazze, si disse attorno al tavolo, a ragioni private. O meglio ne ha cambiato la vocazione: da luoghi di lotta, di socialità e di pensiero a corridoi di passaggio tra un cartellone pubblicitario e un altro. Soprattutto ha modificato gli animi dei suoi abitanti.
Quei cittadini, soprattutto giovani, che un tempo animavano le piazze fino a renderle un fattore perpetuo di cambiamento, oggi invece sono soli, distanti, distratti: si è persa la dimensione collettiva.
Quel bene primario che è lo stare insieme, il condividere un destino e investire energie non solo per l’affermazione del singolo ma per una dimensione più allargata di benessere e qualità di vita, che la piazza metaforicamente rappresenta, oggi è sbiadito o forse svanito.
Mancano i luoghi nei quali è consentito il confronto senza che questo passi immediatamente ad essere esibizione di sé. Mancano dinamiche di confronto ampio, duro, sincero che diano il senso della costruzione collettiva di futuro, quella speranza di poter cambiare le cose anche e soprattutto con la forza delle idee.
Mancano le forme con le quali la politica possa essere centrale in questo progresso, si possa far capire e respinga l’ascolto strumentale al riscontro elettorale, per condividere con i cittadini il piacere per un percorso di trasformazione sociale che non lasci escluso nessuno.
Ma se nel corso di questi decenni televisioni, telefonini, internet, app, chat, la rincorsa al tempo sempre più breve e alla conoscenza sempre più visiva, facile, emotiva hanno stravolto le dimensioni dello stare insieme, sono molte le reazioni spontanee dal basso che provano a ridare fiducia alla forza della collettività e una forma diversa al cambiamento.
Si va dagli esempi estremi di nuove comunità autogestite che ignorano il progresso e si escludono dal resto del mondo per proteggere le nuove generazioni, agli esempi opposti dei fenomeni di massa legati alle economie collaborative, nuove e moderne forme di baratto hi tech, fino alle forme urbane di condivisione degli spazi per dare il via a nuove imprese o occasioni di impresa.
Ma è vera condivisione? “Siete mai andati in uno dei tanti luoghi di coworking? – chiese un altro ricercatore partecipante alla tavola rotonda – Belli, funzionali, ma salta agli occhi che i partecipanti condividono uno spazio ma non le idee. Ciascuno davanti al proprio pc, si lavora, si progetta, si prova ad uscire dagli schemi del posto fisso ma in una dimensione di autonomia accentuata, di percorso di sopravvivenza che guarda al sé e non al noi.”
Quella discussione mise in evidenza la vera dimensione che avremmo potuto dare alla nuova sede della nostra Fondazione: una piazza, contemporanea, meticcia, accessibile, utile.
Uno strumento per entrare nelle trasformazioni della società che parta dalla storia, da quello che siamo stati, ne faccia conoscere le esperienze, i momenti di coraggio, di eccesso, le energie che ci hanno condotto sin qua, e che abiliti le risorse e le idee che possono essere in grado di progettare il futuro.
Uno spazio collettivo costruito sulla base del principio che essere cittadini significa conoscere e partecipare, non desistere dall’idea che si possono cambiare le cose. Uno spazio che guardi alle grandi criticità della società contemporanea in modo attivo, propositivo, sviluppando occasioni di confronto che siano in grado di dialogare ed essere comprese da tutti.
La Sala di Lettura di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Qualcosa che arrivi ad essere disarmante per innovazione e radicale per concretezza: un luogo, certo, ma di progetto.
Siamo partiti da qui per elaborare un nuovo modello di Istituzione culturale che guardi a quanto creato nei 70 anni di attività che la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha alle sue spalle ma che si confronti allo stesso tempo con il mondo contemporaneo, lo sappia intercettare e portare a Milano. Uno spazio inedito che si apra a tutto quanto non sia solo ricerca e elaborazione ma anche azione, arte, narrazione per divenire, nella complessità della sua offerta, un luogo dinamico, in movimento, come l’autentica dimensione di cittadinanza dovrebbe essere.
Dal 1949 la Fondazione raccoglie e mette a disposizione libri e documenti. Oggi è una delle raccolte più importanti in Europa, in alcuni settori al mondo, sulla storia delle idee, sulle azioni che sono seguite a quelle idee e soprattutto sui movimenti che hanno reso protagonisti i cittadini, e molto spesso i cittadini/lavoratori, nella storia contemporanea.
Dall’Illuminismo alla nascita dei movimenti operai e collettivi, dalle lotte per i diritti di tutte le minoranze nell’America degli anni ’60 alle rivoluzioni e controrivoluzioni del SudAmerica fino alle ricostruzioni della storia di Cuba, del ‘900 della Russia, di tutti i movimenti di resistenza del ‘900 europeo, il fascismo e l’antifascismo, la storia del sindacalismo europeo, la storia del pensiero politico continentale, Solidarność, la Comune di Parigi ma anche i movimentismi africani e asiatici.
Libri, carte, carteggi, lettere, manifesti, testimonianze di minoranze che hanno cambiato le cose credendo in ideali, condividendo pensieri e impegnandosi in prima persona, anche per ampliare il consenso a delle cause cui molto spesso era estremamente pericoloso aderire.
L’Utopia di Thomas More. Fonte conservata nella biblioteca di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Per gli scienziati sociali, per gli studenti e i ricercatori si tratta di straordinarie fonti per capire e ricostruire, nonché immaginare e studiare omologhe iniziative contemporanee. Per tutti gli altri, anche per noi chiamati ad immaginare la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli del futuro assieme agli studiosi, si tratta di esempi. Modelli cui guardare nel momento in cui uno spazio, come la nostra nuova sede di Viale Pasubio, intende mettersi al centro di una fase di cambiamento, non per influenzarla e guidarla ma abilitarla e promuoverla.
Lo faremo in vario modo. Ricordando, e quindi affidandoci a modalità pluridisciplinari (mostre, conferenze, incontri, documentari, format didattici, pubblicazioni) per conferire alla memoria il ruolo di guida rispetto alle criticità del contemporaneo. Intrattenendo, e quindi lasciando spazio alle forme con le quali le arti figurative, quelle performative, il cinema, il teatro hanno dato e continuano a dare spazio a momenti e personaggi della storia e dell’attualità che possono aiutare a sentirsi parte di una comunità in continua evoluzione.
Facendo rete con tutte le istituzioni pubbliche e private, le fondazioni e i centri di ricerca che a livello nazionale e internazionale possono aiutarci ad arricchire la nostra offerta, ma soprattutto promuovendo la ricerca: lo stimolo ad andare oltre ciò che è noto per generare idee, pratiche e soluzioni che ci mettano in contatto con i fenomeni che stiamo vivendo e ci aiutino a costruire un domani più equo, giusto, di tutti.
Perché lo facciamo? Dietro ad un impresa di questo genere, che ha alle spalle una storia e delle scelte come quelle compiute non solo dalla Fondazione in settant’anni di attività di ricerca ma anche da tutte le realtà che portano il nome Feltrinelli in Italia e nel mondo, ci sono spinte di qualche genere, condizionamenti e obiettivi che mirano a fare esattamente cosa?
Non è una domanda retorica: ci è stata posta infatti, in modo puntuale, durante un recente viaggio organizzato per stabilire delle alleanze di ricerca su uno dei temi che ci stanno più a cuore, la storia, l’identità, l’idea di cittadinanza europea.
Nel novembre del 2015 la Fondazione ha incontrato a Mosca i rappresentanti di una serie di università e centri di ricerca locali con l’obiettivo di promuovere un progetto internazionale che racconti gli avvenimenti della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e li metta in relazione, a 100 anni di distanza, con le trasformazioni economiche e sociali del continente europeo lungo questo secolo di storia.
Presso l’Accademia delle Scienze ci viene fatta la stessa domanda che mesi dopo ci sarà formulata presso l’Ambasciata russa in Italia: qual è la vostra tesi?
La risposta sta nella priorità che ci siamo dati e nel metodo con il quale la stiamo perseguendo: noi siamo una piattaforma di abilitazione per la ricerca e un terreno d’incontro e di confronto per operatori, istituzioni, cittadini.
Il nostro dna è scritto nei nostri libri e nei nostri archivi e nello scopo con il quale il fondatore Giangiacomo Feltrinelli ha iniziato quasi settant’anni fa a collezionarli: dare eguale dignità a tutti i protagonisti della storia, agli operai, ai rivoluzionari, ai contadini, ai sindacalisti, come agli statisti, agli ideologi, ai grandi pensatori. Le nostre finalità sono molto semplici: aprire nuove opportunità di conoscenza e creare nuove occasioni di lavoro.
Fare dell’insieme delle nostre iniziative un fattore di politica partecipata è la nostra ambizione. Forse è una tesi, sicuramente è la sfida più grande che ci troviamo davanti.