L’articolo è tratto dall’eBook: Public History. La storia contemporanea
I cittadini europei si trovano ad affrontare una crisi globale del progetto politico e istituzionale più importante del ventesimo secolo, quello dell’Unione Europea. Tuttavia, essi sono anche i diretti protagonisti di questa crisi d’identità, che è anche crisi di conoscenza della storia e di un’agenda per una storia condivisa del travagliato passato europeo.
Oggi, in alcuni paesi, soprattutto all’Est dell’Europa, è in corso una reinterpretazione del passato in chiave nazionalista e “patriottica”. Essa propone al pubblico veri “romanzi nazionali”, leggende di parte e interpretazioni inattendibili del passato dal punto di visto storiografico. Nuovi luoghi di memoria attivi nel presente rispondono agli imperativi di una politica xenofoba, isolazionista e illiberale. Si abusa della storia in pubblico per mobilitare le coscienze dei cittadini in funzione di una rivisitazione nazionalistica della storia nazionale. Si costruiscono liturgie laiche spesso “contro” gli altri e non per superare conflitti atavici in chiave europea e sovranazionale. Si giustificano politiche di ripiegamento e di chiusura all’interno di frontiere nazionali (a quando nuove rivendicazioni territoriali di tipo ottocentesco?), si costruiscono muri prima di tutto nelle coscienze, si rigettano valori istituzionali e di cittadinanza derivanti dalla rivoluzione francese in nome di reinventate e improbabili purezze di culture tradizionali contro le “contaminazioni” di un globalismo che ne sovvertirebbe la memoria.
Illustrazione presa della Bastiglia durante la Rivoluzione Francese
Come contrastare queste politiche divisive e come gli storici possono contribuire a farlo?
La storia accademica è libera ricerca individuale e può essere definita come “storia profonda” sganciata dalle necessità di un rapporto immediato con il pubblico; è un’analisi critica del passato senza necessità di collegarlo alle necessità del presente. Esiste tuttavia anche una storia utile per il presente, che fa storia innovativa insieme al pubblico e porta anche i risultati della storiografia accademica in pubblico, e questo è il compito della Public History.
Quale potrebbe essere dunque il ruolo della Public History, una disciplina emergente in Italia ed applicata nella società e che ha preso coscienza di sé solo recentemente?1
I nuovi storici, i public historians, si appropriano della professione tradizionale dello storico, usano metodi interpretativi e documentari del passato e aprono al pubblico i processi critici necessari per fare storia. In questo caso si può parlare di uno scopo pubblico della storia con la necessità di produrre attivamente una storia utile per l’Europa e per singole nazioni europee. Si valorizza anche il processo “tecnico” – l’atelier dello storico – con il quale la storia viene scritta, proprio nell’atto di comunicarla. Usare un approccio etico e professionale al passato anche con le memorie delle comunità con le quali e per le quali si lavora, è compito del public historian, consapevole di adempiere a un ruolo sociale importante senza rinunciare alla sua abilità di trattare le fonti in modo critico e di non forzare il racconto del passato per sottostare ad imperativi strumentali: le contraddizioni e le incoerenze del passato non fanno paura, anzi sono linfa vitale per diffondere una riflessione pubblica critica.
Divulgazione e didattica nei primi anni ’60. Fotografia tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Tuttavia, il lavoro sociale del public historian non è soltanto reattivo, volto cioè a disinnescare la costruzione di leggende nazionali, ma deve diventare proattivo, scegliendo di favorire valori positivi che vengono rinforzati da una lettura attenta del passato violento del ventesimo secolo europeo. La Public History può favorire una migliore comprensione degli sviluppi della storia europea dopo la Seconda guerra mondiale. Chi s’identifica come storico pubblico di quel periodo, interpreta il passato delle singole nazioni europee nel contesto di una più ampia identità culturale e politica dell’Unione. Egli comunica questo passato al più vasto pubblico possibile e in diversi modi, con l’intenzione di fare del passato, una componente attiva della memoria sociale.
Il ruolo della storia come educazione critica alla cittadinanza europea, è valorizzato dai public historian nell’UE, in un’Europa definita come “memory land”, per sottolineare l’importanza del passato nel condizionare il presente2.
I public historians hanno oggi il difficile compito di promuovere i valori essenziali della convivenza pacifica tra i popoli del continente, come la tolleranza ed i diritti umani. Essi hanno anche il compito di valorizzare le istituzioni democratiche, uno spazio costituzionale europeo inclusivo e la democrazia in quanto tale, promuovendo attivamente, e in positivo, un’identità e una memoria comuni, che non annullino i passati difficili, ma lascino spazio alla condivisione delle differenze e delle opposte memorie3.
Lo storico pubblico oggi può e deve essere “attivista della storia in pubblico”, egli ha il dovere sociale di promuovere la storia come processo critico al passato, nella sua complessità, nei suoi tempi lunghi, nelle sue contraddizioni e nelle sue violenze. Un public historian non limita la sua azione professionale all’attività accademica, egli entra in contatto con i cittadini europei per fare storia utile ed applicata.
Un approccio pubblico ai passati difficili dell’Europa è stato promosso nelle celebrazioni del centenario della Prima guerra mondiale e offre una migliore comprensione dell’importanza della costruzione di istituzioni comuni europee nel Secondo dopoguerra.
1870. Satira sulla cartina europea, tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Riflettendo sulla Prima guerra mondiale, il passato delle singole nazioni europee è stato così integrato nel processo di costruzione dell’identità dell’UE – anche con le sue contraddizioni – e comunicato al pubblico più ampio possibile. In questo senso non c’è nulla di a-professionale o strumentale nel mostrare che un percorso storico, che parte dal cataclisma della prima guerra, dai totalitarismi che ne scaturiscano, e dalla seconda guerra, attraverso il secolo breve, approdi nel 2012, al premio Nobel per la pace consegnato ai vertici dell’Unione Europea. Questa celebrazione del ruolo pacificatore dell’UE, avvenne durante una grande mostra a Bruxelles sulla Prima guerra mondiale, “14-18 è la nostra storia”4, che ha proposto anche una “storia utile” oggi nel commemorare il centenario del conflitto.
La memoria della Prima guerra mondiale ci riguarda tutti direttamente soprattutto alla luce dell’odierna congiuntura politica internazionale accennata più sopra.
Alla fine della visita il pubblico era chiamato a rispondere a domande, come ad esempio: cosa avresti fatto alla vigilia della Grande guerra? La mostra terminava in una sala buia con proiezioni di filmati e fotografie. Una fotografia in particolare chiudeva il percorso storico del violento secolo ventesimo. Essa ritraeva i dirigenti di allora dell’UE con, in mano, il premio Nobel per la pace del 2012. Questo legame con la storia appena tratteggiata in un caleidoscopio di immagini del secolo breve e culminate nel cataclisma della seconda guerra e dell’Olocausto, diventava utile metafora del terminus ad quem dell’intero secolo in Europa. Era chiaro, per chiunque avesse visitato la mostra ed assistito alla proiezione, che un’Europa di pace era nata da una storia che partiva dal campo di battaglia di Verdun fino al trattato di Lisbona, dopo il fallimento della costituzione europea (2009). Questa mostra integrava il passato come dimensione viva del presente per motivare riflessioni contemporanee sulle origini dell’UE.
Un esempio di come il passato europeo viene narrato nelle sue diverse interpretazioni e in funzione di una riflessione globale sull’identità europea, è dato dal lavoro dei curatori della House of European History di Bruxelles, un iniziativa culturale maggiore intrapresa dal Parlamento Europeo, inaugurata il 6 maggio 20175.
La Casa per la Storia dell’Europa, nella mostra permanente, offre una narrativa complessa della storia europea fino alla costruzione di una casa comune estesa all’Est del continente (2004) dopo la caduta del muro di Berlino (1989), e senza tralasciare di approfondire la crisi delle certezze politiche ed economiche costruite durante il processo di ricostruzione del continente nel secondo dopoguerra. Lo scopo pubblico di un’impresa così coinvolgente è anche quello di spostare la nostra attenzione dalle storie nazionali e locali frammentate a un pensiero storico critico sui passati divergenti in Europa, senza limitarsi alla narrazione del passato, ma anche promuovendo un attenzione specifica al processo stesso del fare storia per e con il pubblico. Diversi capitoli nella mostra permanente informano il pubblico sulla storia europea oltre i confini nazionali anche in modo interattivo. La mostra permanente termina chiedendo al visitatore un opinione su cosa siaper lui l’Europa e come egli si posiziona di fronte ad un’identità europea sovranazionale.6
1989. Celebrazione dell’apertura del muro di Berlino
La storia è – ed è sempre stata – abusata nella retorica di Stato, nella politica e nel governo come nei musei, nelle esposizioni e nei libri di scuola, ed è stata usata per giustificare guerre e genocidi, razzismi e antiglobalismi, visioni eroiche delle storie nazionali che ricusano le ombre del passato in funzione di una retorica patriottica per l’oggi.
Il ruolo del Public Historian, invece, è quello di creare passati complessi e “sicuri” da comunicare all’interno delle comunità di riferimento accettando di essere coinvolto direttamente nelle politiche della memoria e nella valorizzazione di un patrimonio culturale comune.[7] Questo ruolo attivo del Public Historian è, del resto, teorizzato da una studiosa britannica, Alix Green in un libro recente su Storia, politica e finalità pubblica della storia. Per Green, un Public Historian non è solo consulente o “esperto esterno” alla società, ma deve conseguire obiettivi pubblici e avere uno “scopo pubblico” promuovendo il valore civile della storia intesa come professione e non solo come narrativa del passato chiusa nei libri. Scrive la Green che gli storici pubblici devono dare “un impulso morale, metodologico e intellettuale per lavorare in modi che contribuiscono alla vita pubblica e al bene sociale”.
Per concludere.
Si può affermare che lo scopo della Public History è quello di fare ricerca originale con e per il pubblico e, quanto possibile, di utilizzare la conoscenza accademica nella società. La Public History deve essere critica, partecipativa e capace di sintesi per l’oggi e di investimenti per mantenere vive le memorie utili in Europa oggi. Essa deve sapere essere inclusiva e coinvolgere il pubblico per fare, nel bene e nel male, della storia europea, la storia di ognuno di noi.
1 Primo convegno nazionale dell’Associazione italiana di Public History (http://aiph.hypotheses.org) insieme al quarto convegno annuale della International Federation for Public History, (http://ifph.hypotheses.org), Ravenna, 5-9 giugno 2017, https://events.unibo.it/ifph2017
2 Sharon Macdonald: Memorylands: heritage and identity in Europe today Routledge, London 2013.
3 Markus J. Prutsch, Research for CULT Committee – European Identity, European Parliament, Policy Department for Structural and Cohesion Policies, Brussels, IP/B/CULT/NT/2017-004, PE 585.921, April 2017, (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2017/585921/IPOL_STU(2017)585921_EN.pdf).
414-18 c’est notre histoire, https://tempora-expo.be/14-18-cest-notre-histoire/ si è tenuta a Bruxelles dal febbraio 2014 a novembre 2015 attirando più di 175.000 visitatori.
5 House of European Historyhttps://historia-europa.ep.eu/
6 European Parliament, House of European History: Guidebook to the Permanent Exhibition, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2017, DOI 10.2861/348428.
7 Il progetto dello EuropeanResearchCouncil, Horizon 2020, EUROHERIT, Legitimation of European cultural heritage and the dynamics of identity politics in the EU, 2015-2010, studia le politiche che valorizzino il patrimonio culturale comune europeo, https://www.jyu.fi/hytk/fi/laitokset/mutku/en/research/projects2/euroherit/EUROHERI