Fonte: El Diaro.es
Qualche giorno fa, la testata spagnola El Diario.es mi ha chiesto un commento sui dati recentemente pubblicati da INE e Eurostat. Al 2016, le statistiche mostrano un evidente effetto di genere nella partecipazione al mercato del lavoro e nella qualità dell’impiego. E nonostante altre e ben più importanti ricercatrici prima di me abbiano più volte sottolineato questo fenomeno, sembra che non sia mai abbastanza parlarne.
Donne e lavoro, figli e lavoro. I dati pubblicati da INE mostrano come al crescere del numero di figli la forbice tra uomini e donne si allarghi: gli uomini lavorano di più, le donne lavorano di meno, intendendo con questo meno sia l’effettiva partecipazione che il numero di ore che le donne riescono a prestare nel proprio impiego. Un trend che è trasversale e comune a tutta Europa, ma che in alcuni paesi come Italia e Spagna costituisce un fenomeno preoccupante e persistente. Solo per citare l’esempio dell’Italia: senza figli uomini al 67,3% e donne al 51,9%, con un figlio uomini al 79,3% e donne al 56,7%, con due figli uomini al 86% e donne al 55%, con tre figli o più figli uomini al 81,8% e donne al 43,8%. Il 32,7% delle donne lavora part-time, a fronte dell’8,2% degli uomini.
Quali possono essere le ragioni dietro questo fenomeno? Sicuramente c’è un problema legato al lavoro domestico e di cura ancora disproporzionalmente a carico delle donne, che le affatica e che le rende meno capaci di essere altrettanto attive nella vita pubblica come fanno i loro compagni. Ma c’è anche una questione legata alle condizioni di lavoro delle donne: salari più bassi, spesso segregate in settori che difficilmente consentono percorsi di carriera adeguati, carriera più frammentate da episodi di lavoro non-standard. Quando vi è la necessità di prestare maggior lavoro di cura, è perfettamente razionale che le famiglie scelgano di allocare questo lavoro a chi ha condizioni di lavoro meno favorevoli. Il più delle volte, si tratta della donna.
Per risolvere il dilemma donne-figli-lavoro, è sicuramente fondamentale sostenere un maggiore investimento nei servizi alla prima infanzia. Ma da solo questo non basta: occorrono nuove politiche di uguaglianza nel mercato del lavoro e nuove politiche industriali che sappiano favorire settori ad alto contenuto di conoscenza, dove gli studi sociologici sono concordi nel dimostrare come le disuguaglianze di genere siano ridotte e le possibilità di carriera più paritarie.