Università degli Studi di Napoli Federico II

In Italia la fiducia nelle istituzioni è bassa e tra queste i partiti politici raccolgono i punteggi più negativi (si veda il Rapporto BES 2016 dell’Istat). La delegittimazione politica dei governanti e, in generale, delle forze politiche tradizionali è arrivata alle stelle. Esiste una soluzione per la crisi della rappresentanza?

Storicamente, quando il sistema partitico è risultato incapace di dare delle risposte, queste sono state cercate e forgiate altrove. I movimenti sociali hanno avuto da sempre questo compito: raccogliere le domande, i bisogni e le volontà provenienti dalla base sociale e strutturarli in interessi comuni, seguendo linee di azione collettiva.

Le forme di organizzazione politica cambiano nel tempo e nello spazio e si costruiscono in base a fini specifici o a scopi più generali. Se dunque il Novecento è stato il secolo della rappresentanza e della partecipazione con i partiti, i sindacati e i movimenti, cosa possiamo aspettarci ora?

La crisi del sistema politico è un dato di fatto trasversale all’intero spettro politico, non per questo però i partiti politici o i movimenti sociali non esistono più. Esistono e resistono, ognuno con i propri repertori d’azione.

Negli anni della crisi socio-politica l’aumento della diseguaglianza è dovuto, in sostanza, a misure economiche ispirate al neoliberalismo con la polarizzazione della ricchezza, la deregolamentazione del mondo della finanza e la precarizzazione del lavoro. Alcune evidenze del conseguente malcontento possono rintracciarsi nelle proteste degli Indignados in Spagna o di Occupy Wall Street negli Stati Uniti, ma anche nelle lotte locali in Italia (No Tav, No Muos). Inoltre sono nati nuovi soggetti politici, la cui organizzazione, cultura e strategia pare occupare uno spazio di mezzo tra quelle più tradizionalmente studiate e categorizzate. I casi di Syriza, Podemos e del Movimento Cinque Stelle ad esempio, sfuggono alle classiche etichette identificative. Questi attori politici in effetti sembrano attingere sia dall’universo di riferimento propriamente partitico che da quello movimentista. Tracciando una sorta di continuum tra questi due poli, possiamo collocarvi all’interno i tre soggetti sopra nominati, più vicino all’uno o all’altro estremo del continuum a seconda del caso. Se il M5S e Podemos si assomigliano di più sul versante strategico e comunicativo (si pensi, ad esempio, all’utilizzo delle piattaforme web come strumenti di partecipazione diffusa o, azzardando, di e-democracy), Syriza e Podemos condividono maggiormente oltre che il versane strutturale-organizzativo, anche i riferimenti culturali e ideologici. Questi casi sono interessanti anche perché mettono in luce i tipi di legame che possono darsi tra i partiti politici e i movimenti sociali. Storicamente quest’ultimi hanno trovato canali di apertura a sinistra dello spettro politico, allorquando un movimento fondava un partito o si trasformava in un partito, o nel caso in cui si definivano alleanze stabili, complicità altalenanti o ancora rapporti critici e tesi. Se nei casi greco e spagnolo, con le dovute particolarità, dei legami sono ancora evidenti, in Italia il tessuto di base non ha trovato nel M5S un vero e proprio punto di riferimento.

Una manifestazione di Podemos a Madrid, Spagna, 31 gennaio 2015

In generale la crisi di fiducia nei partiti mainstream origina la nascita di soggetti politici alternativi. Si pensi agli Insoumise in Francia con Mélenchon, ai casi spagnoli di Barcelona en comú o Ahora Madrid con due sindache provenienti l’una, Ada Colau, dalla Pah, la piattaforma delle persone affette da ipoteca e l’altra, Manuela Carmena, ex giudice e avvocatessa impegnata nel sociale, o ancora al caso partenopeo della lista civica di De Magistris. Sebbene queste esperienze si riferiscano a spazi territoriali diversi, è interessante notare che si tratta di soggetti politici nati dalla necessità di rappresentare un’alternativa reale nel solco delle cosiddette “rivoluzioni civili” che parta dal basso e dal nuovo.

A pochi mesi dalle elezioni politiche anche la galassia partitica nel nostro Paese si riorganizza e, sull’onda della nuova politica dal basso, salta all’occhio un nuovo esperimento: Potere al Popolo. La prima assemblea, tenutasi il 18 novembre al Teatro Italia di Roma, chiarisce già che la partita si gioca radicalmente a sinistra. I temi trattati sono stati inquadrati in un’ottica maggioritaria, del popolo – le classi popolari- versus l’élite politico-economica. Potere al Popolo nasce su proposta del centro sociale EX OPG- Jè so pazzo di Napoli e del Collettivo Clash City Workers (presente in varie città italiane). La riappropriazione dello spazio pubblico, così come quella degli spazi occupati in città, è accompagnata da un senso del dovere di partecipazione perché c’è la percezione che non vi siano alternative politiche in grado di dare rappresentanza alle proprie rivendicazioni ed esigenze. Sicuramente i fenomeni analoghi avvenuti in Spagna e Grecia sono un esempio, ma pare che in questo caso ci sia un vincolo effettivo a monte tra movimento e futura eventuale rappresentanza, nel senso che è il movimento stesso che lancia una piattaforma elettorale. Ad incidere su questo percorso saranno, tra le altre cose, il grado di apertura del sistema politico-elettorale, l’equilibrio tra le tante esperienze che animano il progetto e la stessa convivenza tra piazze e istituzioni.

Quello che per ora si può constatare è che il passo compiuto da questi movimenti sembra rispecchiare la volontà di costruire un discorso contro-egemonico dal basso che sia in grado di dare voce e gambe al senso comune.

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