L’attenzione mediatica verso la cosiddetta “Industria 4.0” ha raggiunto livelli fastidiosi: con la sigla 4.0 si allude talvolta ad una generica e banale idea di modernità alla quale si associano speranze e paure spesso non argomentate in modo razionale. Sarebbe però sbagliato negare che qualcosa di veramente importante sia in atto.
Siamo infatti entrati nella seconda fase della rivoluzione digitale che è iniziata nella seconda metà del secolo scorso: negli ultimi 3 o 4 decenni abbiamo progressivamente assistito all’ingresso dei computer in praticamente tutte le attività produttive; i tempi di avanzamento della rivoluzione digitale sono stati scanditi dalla disponibilità a basso prezzo di processori sempre più veloci e di memorie sempre più grandi. La novità del decennio che stiamo vivendo consiste invece nella simultanea maturazione di tecnologie abilitanti diverse che sviluppano tra loro complementarietà inedite.
Senza sensori sarebbe impossibile raccogliere masse enormi di dati (“Big Data”); senza una presenza ubiqua di internet sarebbe impossibile trasmettere tali dati in tempo reale; senza l’intelligenza artificiale sarebbe impossibile estrarre da tali dati informazioni utili per prendere decisioni; senza sistemi cloud l’accesso ai software ed alla potenza di calcolo necessaria sarebbe impossibile per imprese di piccole e medie dimensioni; senza una grande potenza di calcolo non sarebbe possibile simulare fenomeni in un ambito virtuale prima di agire nel mondo reale … senza la modellistica 3D e senza la possibilità di trasferire files via internet non sarebbe possibile sfruttare le potenzialità della manifattura additiva (“stampa 3D”) che permette la realizzazione di nuove geometrie, di pezzi personalizzati e la produzione di pezzi di ricambio se e dove se ne presenta la necessità…
Per esempio, i robot di ultima generazione (i cosiddetti robot collaborativi o “COBOT”), contengono un numero enorme di sensori, sono dotati di intelligenza artificiale, sono connessi con altre macchine dell’ambiente in cui operano…
Dal punto di vista della logica economica, quanto sopra detto ha due ordini di implicazioni.
In primo luogo, decisioni economiche diventano più efficienti dal momento che sono prese sulla base di un insieme di informazioni più ampio e disponibile in tempo reale: l’efficienza delle decisioni si associa ad un uso migliore delle risorse disponibile e può, tra l’altro, determinare un impatto positivo sull’ambiente. Per esempio, sensori posti in un terreno agricolo possono rilevare i livelli di umidità, di irraggiamento solare, di acidità del suolo e trasmetterli ad una centralina (che si può anche trovare a migliaia di km di distanza): tale centralina può accedere a previsioni meteo per i giorni successivi e a dati circa la scarsità delle riserve acqua e prendere in modo automatico decisioni circa l’irrigazione, che può anche essere circoscritta ad alcune porzioni del terreno. Si ottiene così un aumento di produttività al quale si associa un uso più efficiente di una risorsa scarsa, l’acqua.
In secondo luogo, le nuove tecnologie digitali non solo rendono l’informazione più abbondante ma possono anche rendere la sua distribuzione meno asimmetrica: ciò può abilitare nuovi modelli di business. Per esempio, una macchina da bar per il caffè connessa a internet può trasmettere dati sulla qualità dell’acqua utilizzata (e su altri parametri che garantiscono la qualità del prodotto) e sul numero di tazzine di caffè prodotte: diviene economicamente sostenibile un modello di business in cui si concede in uso gratuito la macchina nell’ambito di un contratto di fornitura di caffè. Il proprietario della macchina ha infatti modo di verificare la coerenza tra volumi di caffè macinato acquistato e numero di tazzine di caffè prodotte dalla macchina e può controllare da remoto che la qualità del caffè servito ai consumatori non danneggi la reputazione del proprio brand. Logiche simili possono portare a nuovi modelli contrattuali nell’ambito di schemi di “manutenzione predittiva”.
Macchina del caffè connessa a internet
Si tratta dunque di innovazioni che ogni impresa può comporre in “cocktails” con ingredienti e dosi adattati alle proprie esigenze; l’implementazione delle nuove tecnologie digitali richiede che all’interno delle imprese si sviluppino competenze nuove e siano individuati ed attuati cambiamenti nei prodotti, nei processi produttivi, nei modelli organizzativi e nei modelli di business. Ciò richiede da parte delle imprese capacità di visione e investimenti non solo in tecnologia ma anche in formazione. La radicalità dei cambiamenti in atto richiede anche forme nuove di formazione e nuove modalità di interazione tra il mondo delle imprese ed il mondo della scuola e dell’università. I rischi di disoccupazione indotta dalle tecnologia esistono ma c’è anche la ragionevole speranza che i guadagni di produttività si traducano in più alte retribuzioni per il lavoro e in un ulteriore affrancamento delle persone da lavori usuranti e pericolosi.
In sintesi, si tratta di capire in quale misura l’obiezione “abbiamo sempre fatto così” (pur, in astratto, rispettabile!) debba essere superata: le vecchie tecnologie imponevano certi vincoli ed abilitavano il perseguimento di dati obiettivi; se nuove tecnologie eliminano vecchi vincoli ed abilitano nuovi obiettivi, diventa necessario esplorare strade nuove. L’immobilismo può costare molto caro alle imprese ed ai lavoratori.