Quello tra Russia ed Europa è un confronto che definisce una costante nella storia moderna e contemporanea.
Il processo di costruzione dell’Europa in età moderna ha vissuto un’idea permeabile e mobile di confine. Un confine che a Ovest appariva segnato da un limite naturale rappresentato dal mare, mentre a Est non solo era mutevole, ma si costruiva sul contatto con la Russia e con la sua realtà culturale e linguistica, assunta sia come sfida che come dialogo e confronto.
L’Europa riesce a definire se stessa se include la Russia; la Russia definisce una immagine di sé soltanto se si pensa in dialogo e in rapporto con il resto dell’Europa. L’avvicinarsi del centenario del 1917 è l’occasione per ripercorrere questo rapporto complesso: quanta parte della storia e della cultura russa è nel profondo dell’Europa? Che cosa è andata cercando l’Europa “guardando alla Russia” a partire dal XIX secolo? Che cosa cambia a partire dal 1917? Che cosa resta oggi?
Nel corso dell’Ottocento il punto di riferimento del dispotismo agli occhi dell’Europa si identifica con la Russia. La Russia è il luogo in cui l’Europa misura la distanza dal suo passato. Questo registro si modifica a partire dal 1917, quando il processo rivoluzionario da una parte è percepito come un momento di possibile avvicinamento, ma dall’altra anche come il confronto con un avversario cui contendere il futuro del continente.
Manifesto. I. Ovasapov, Siamo fieri dei nostri diritti scritti a lettere d’oro nella Costituzione del Paese!, 1979
Uno sguardo che si alimenta dell’immaginario sociale degli strumenti di comunicazione propri del Novecento: e dunque i manifesti pubblici, vero luogo in cui si costruisce il linguaggio collettivo.
Per questo abbiamo pensato che il centenario potesse essere un’occasione per scavare intorno al rapporto inquieto, spesso conflittuale, quasi mai amico e tuttavia mai ritenuto superfluo o inutile tra Russia ed Europa, e che nel tempo le ha legate in forma mutevole. Un confronto in cui gli interessi, le domande, lo stimolo al cambiamento sono avvenuti attraverso uno sguardo che reciprocamente si spingeva “oltre il confine”, in cui la realtà russa, e poi sovietica, e le molte realtà dell’Europa in forme discontinue, distinte nel tempo, hanno continuato a dialogare, spesso con diffidenza ma sempre con curiosità. Una storia che si presta a una riflessione sui modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di lavoro, progresso e felicità sociale.
Lo scopo è indagarne i codici culturali e simbolici che sono alla base del nostro vissuto di cittadini europei. Il contesto storico che ha reso possibile la Rivoluzione d’Ottobre, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0, sono parte di un bagaglio culturale e politico che, a distanza di oltre venticinque anni dalla dissoluzione dell’Urss, possono essere guardati con occhi nuovi e come parte di ciò che di originale e potente ha portato il 1917 in Europa.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
In questa ricerca ci hanno guidato le sollecitazioni che abbiamo ricavato dall’immersione nel patrimonio di Fondazione. Un patrimonio ricco di volumi e periodici, di manifesti e di affiches che documentano la storia culturale, economica, sociale, politica ma anche visiva dell’immaginario della Russia dagli inizi del XIX secolo a oggi.
La storia come modo di pensare i nodi del presente, ma anche ricostruire il senso della sua genealogia.
Il 1917 è un anno fondamentale del processo storico mondiale e in particolare europeo. Prorompe sulla scena in una situazione tragica: l’Europa è nel pieno della Prima guerra mondiale e la Russia è un groviglio di contraddizioni, dove lo sviluppo economico e sociale dei decenni precedenti non trova riscontro nelle arretrate strutture politiche del regime zarista. Lo scoppio della rivoluzione spezza secolari strutture feudali e rende di colpo la Russia il faro europeo del socialismo, il posto in cui più di mezzo secolo di pensiero radicale anti-sistema trova una fulminea attuazione. Questo territorio ai margini, che poco aveva assorbito dei precedenti stimoli al progresso del tempo, recupera il suo ritardo con la modernità grazie a un evento cruciale quanto repentino, una modalità che poi diventerà cifra distintiva di tutto il Novecento.
Abbiamo scelto tre diversi percorsi di significato cui abbiamo cercato di dare un volto: le idee, le economie, la propaganda sono i tre diversi codici che proponiamo e attraverso i quali raccontare il confronto stretto tra Russia e Europa nel corso del Novecento.
In breve:
Le idee. La storia della Rivoluzione d’Ottobre, da due punti di vista diversi: da una parte come i russi stessi l’hanno raccontata, dall’altra come alcune voci europee l’hanno vissuta, interrogandosi sul loro futuro e sempre avendo presente cosa lì stava avvenendo, convinti che simpatetici o avversari, quella storia riguardava anche loro.
L’economia. Il grande processo di modernizzazione portato avanti nei primi anni di esistenza dell’Unione Sovietica è stato accompagnato da una ridefinizione dei concetti e delle pratiche di lavoro, casa ed economia. Il lavoro come diritto fondamentale, la collettivizzazione delle campagne e dei nuclei residenziali, i ritmi forzati della pianificazione economica, sono tutte tappe che hanno profondamente segnato la storia della Russia e fanno parte di ciò che viene considerata l’eredità politica e sociale del modello di sviluppo sovietico.
La propaganda. La nuova élite politica mobilita, orienta e educa l’opinione pubblica. Funzionale a questo scopo è l’arte di regime, che con le sue opere doveva far apparire l’Urss come “il paese più felice del mondo”, ma anche è attenta a invocare la costruzione di un nuovo cittadino, corazzato di una nuova etica, “e perciò virtuoso, libero dai vizi storici del carattere russo, per esempio dall’uso, più spesso dall’abuso dell’alcool.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
Un insieme di immagini, di sogni, di preoccupazioni, ma anche e soprattutto di parole che hanno definito il linguaggio collettivo del Novecento, ma anche che fanno ancora parte dell’immaginario pubblico. Parole che toccano le sensibilità di quel tempo e del nostro, ancora caratterizzate da quello sguardo che reciprocamente si volge “oltre il confine”, che prova a costruire e a dare forma a un dialogo e a uno scambio che non sono mai stati quieti o tranquilli, ma sempre turbolenti, contratti, tesi, ma in cui nessuna delle due parti ha cercato la rottura definitiva. Un dialogo e uno scambio che chiedevano di trovare forme di coabitazione, di compromesso, di confronto. Quando la sensazione era quella di essere prossimi alla rottura, infatti riprendeva una pratica di confronto il cui fine era tenere sempre una porta aperta, scommettendo su un margine di interesse comune, per “non perdersi di vista” e provare, magari in un momento successivo, a riannodare ciò che nel frattempo si era perduto.