Direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Il volto insanguinato di una donna incredula, i manganelli che fendono l’aria e si scagliano su giovani universitari stretti tra loro nel canto Votarem, le urne cinesi da cinque euro difese da nonni e nipoti, i risultati della notte che portano il sì all’indipendenza al 90%: l’epica di questo primo fine settimana di ottobre, l’ultimo della Spagna postfranchista, si è gonfiato di dramma e ora lascia dietro di sé le ceneri di almeno tre protagonisti mancati, Rajoy, la monarchia e l’Europa, e ne esalta invece uno che si è imposto alla luce del sole, o della pioggia di Barcellona: la cittadinanza.

Mariano Rajoy, il leader popolare che ha carpito l’occasione di formare un governo fragile dal fallimento elettorale di Podemos alle ultime elezioni, avrebbe potuto dimostrare le sue capacità politiche mediando, dialogando, portando al tavolo di un futuro comune tra Madrid e Barcellona anche le sue condizioni. Invece ha usato la mano forte contro i suoi stessi cittadini trincerandosi dietro la “ley”, la legge, quando il suo vero mandante è il “rey”: quel re, quella monarchia anacronistica che in difesa di se stessa ha voluto evitare il voto catalano che assommava alla richiesta di indipendenza anche quella per la Repubblica.

Manifestanti per Podemos.
Leggi l’articolo di approfondimento Podemos, un partito in movimento

 

Un clamoroso protagonista mancato di questa vicenda è l’Europa.

Non solo e non tanto per l’assenza di esponenti autorevoli tra le fila della Commissione o del Parlamento che abbiano operato per evitare quanto accaduto ieri, e che si siano posti come costruttori di quella mediazione evitata dalla politica spagnola. Quanto perché gli avvenimenti catalani non hanno innescato in questi mesi una riflessione più ampia e allargata sul futuro del Continente europeo. Se si continua a sostenere, dalle recenti dichiarazioni del presidente Emmanuel Macron ai blasonati notisti e intellettuali di destra e di sinistra, la necessità di un’Europa dei cittadini, quale occasione migliore per riflettere sul futuro di una piattaforma politica che sappia dare spazio alle minoranze, si costruisca sulle differenze e si distingua nel mondo come fonte di democrazia, di accoglienza e nuove dinamiche di convivenza? La lentezza inesorabile con la quale le istituzioni che ci rappresentano si stanno adeguando alla fulminea trasformazione sociale ed economica in atto pone un grande interrogativo sul nostro futuro. Rischiamo di rimanere illusi, isolati, inadeguati. Fieri delle nostre Costituzioni novecentesche e delle nostre organizzazioni sociali sette/ottocentesche, quando il corso della storia, tra le silenti dominazioni dei nuovi Stati virtuali (Amazon, Facebook e Google) e le rapacità dei tradizionali dominatori globali (Cina e Stati Uniti), sta modificando priorità e bisogni. Lo dimostra l’unico protagonista vero della vicenda Catalana: i cittadini.

Manifesto del ’68 francese sul tema dei confini,
tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

 

Indipendentemente dagli orientamenti politici, i catalani ieri volevano votare e partecipare così a una diversa ipotesi di futuro. La reazione violenta dello stato centrale non ha fatto che aumentare le file ai seggi e la risposta fragorosa della piazza. Ma cos’è in ballo? Auspicabilmente l’ipotesi che si possa apprendere dagli errori e ricominciare a tessere una tela matura e più allargata che sappia modernizzare le relazioni tra comunità in un’ottica non di difesa dei poteri ma di aggiornamento delle prospettive. Diversamente potremo andare incontro ad una radicalizzazione dei nazionalismi, ad una chiusura delle relazioni di fiducia e ad una dimensione di scontro che sancirebbe definitivamente la fine dell’Europa dei cittadini. C’è qualcuno cui giova tutto questo?

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