A urne ancora calde e a dibattiti post-elettorali in pieno – e insolitamente acceso- svolgimento, due linee interpretative delle elezioni tedesche sono inopinabili: 1) la crisi dei partiti tradizionali, che ha mietuto vittime illustri in molti paesi europei, ha toccato infine anche la Germania; 2) il livello più profondo della crisi investe, anche in Germania, il partito socialdemocratico. La SPD, che aveva scommesso a gennaio sulla candidatura di Martin Schulz, si trova a fare i conti con il peggior risultato elettorale dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il messaggio di giustizia sociale sul quale il candidato ha costruito la campagna per la conquista della Cancelleria non solo non ha convinto l’elettorato socialdemocratico, ma non ha nemmeno evitato, stando alle prime analisi dei flussi elettorali, che una parte significativa di operai (stimata attorno al 20%) esprimesse la propria preferenza per il partito dell’Alternativa per la Germania.
Questo è avvenuto nonostante i dati di sondaggio pre-elettorale indicassero una maggiore competenza percepita sul tema della giustizia sociale del candidato Schulz rispetto alla candidatura della Cancelliera Merkel.
Un altro dato però ci aiuta ad analizzare i risultati elettorali e ad inquadrare i confini della sconfitta dei partiti di sinistra – quella assoluta della SPD che ha perso quasi il 5,2% e quella del partito di sinistra radicale della Linke, che ha guadagnato appena lo 0,6% – in relazione alla promozione del tema giustizia sociale. Accanto al tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo, in assoluto la preoccupazione più avvertita tra i cittadini intervistati, i sondaggi pre-elettorali indicavano come secondo e terzo tema di apprensione la politica delle pensioni e quello della giustizia sociale. La narrazione della Germania come paese a quasi piena occupazione ha a lungo nascosto una parte importante del problema riguardante il benessere dei cittadini tedeschi, soprattutto di quelli residenti nelle regioni della ex Germania dell’est dove, non a caso, la Afd ha ottenuto i risultati migliori.
Durante la campagna elettorale, una delle rare occasioni nella quale la Angela Merkel è stata messa in difficoltà, risultando poco convincente nella risposta, si è registrata nel corso della trasmissione televisiva “Klartext” che prevedeva domande dirette dal pubblico ai candidati alla Cancelleria. Messa di fronte al quesito sulla giustizia di un sistema che – come nel caso della partecipante, la signora Petra Vogel, ex addetta alle pulizie in edifici pubblici – dopo 40 anni garantisce una pensione di 650 euro, la Cancelliera non ha saputo fare altro che mostrare empatia nei confronti della pensionata chiedendole contestualmente se non avesse nel tempo potuto crearsi una pensione alternativa.
Parlamento tedesco
La situazione della Signora Vogel non è affatto isolata in Germania. La stabilità dei conti pubblici di cui la Germania ha potuto trarre profitto nel corso degli ultimi dieci anni è in parte riconducibile al processo di riforma dello Stato Sociale promosso dai governi rosso– verdi sotto il Cancelliere Schröder (2002-2005) che, attraverso la messa in atto dell’Agenda 2010, ha realizzato l’accorciamento dei tempi di sussidio di disoccupazione, l’introduzione di forme flessibili di lavoro e la riduzione delle spese sanitarie. Gli attuali Hartz IV Empfänger[1], ovvero i destinatari delle misure di protezione sociale per le fasce più deboli, sono più di quattro milioni in Germania.
Il varo di queste riforme, con il portato di flessibilizzazione del mercato del lavoro che esse hanno comportato, costituisce dai primi anni Duemila una sorta di “peccato originale” della socialdemocrazia tedesca che pare non essersi ripresa dalla formula di “leadership salvifica” e “riforme a tutti i costi” imposte dal Cancelliere Schröder. Da allora, la partecipazione della SPD a due governi di Grande Coalizione (2005-2009 e 2013-2017) ha costretto il partito socialdemocratico nel ruolo di partner minore, rendendone la testimonianza di fedeltà ai principi della giustizia sociale vana e poco credibile.
Non ha fatto eccezione l’appena conclusa campagna elettorale, dove né la SPD né la Linke sono riuscite a imporre il tema nell’agenda pubblica e mediatica. Le preoccupazioni su questo versante sembrano essersi fuse con rivendicazioni tipiche dello sciovinismo del benessere nazionalista della Afd. L’annunciato ritorno della SPD all’opposizione costituirà quindi un banco di prova per la ricomposizione del fronte della giustizia sociale. La direzione di quest’ultima dipenderà dalla volontà del nuovo governo di riconoscere le sacche di insoddisfazione che, nonostante gli indici macroeconomici positivi della Germania, si sono combinate con le ansie identitarie sfruttate dalla Afd, rendendo possibile per la prima volta nella della Repubblica federale la rappresentanza parlamentare di un partito alla destra della CDU/CSU.
[1] Il nome del provvedimento viene da Peter Hartz, manager della Volkswagen, dal 2002 consigliere del Cancelliere Schröder per la riforma del mercato del lavoro.