In una delle riflessioni raccolte in Occhiacci di legno, su distanza e uso di metafore visive come “prospettiva” e “punto di vista” nel discorso tra storia e memoria, Carlo Ginzburg attribuisce lo «slittamento sensoriale» verso il «trionfo della vista» del “regime scopico della modernità”, al fatto che la «stampa ha reso immagini e libri infinitamente più accessibili».
Questa riflessione echeggia quanto afferma nel primo dopoguerra – dopo la partecipazione all’«enorme esperimento di psicologia collettiva» della trincea – lo storico francese Marc Bloch sulla relazione tra lo sviluppo dei sistemi e delle tecniche di osservazione, e la presa di posizione di chi, come lo storico, si trova a puntare lo sguardo su oggetti di studio posti a una fisiologica distanza temporale e interpretativa da sé.
Oggi, è il centenario della Grande Guerra il punto di applicazione di quello sguardo che, come spettatori della storia, portiamo sugli eventi che hanno trasformato il Novecento nel lungo «secolo armato». Tra gli altri, il filosofo francese Paul Virilio ha sottolineato come la storia della guerra moderna sia stata, a un tempo, quella delle tecnologie di smaterializzazione dei mezzi per condurla con l’acquisizione di dati a distanza e la loro successiva mediatizzazione.
Per questo 2014 ridondante di visioni del conflitto sono, quindi, gli occhi che dobbiamo allenare alle strategie con le quali la guerra del e dal 1914 è stata concepita e condotta logisticamente, documentata e tràdita tecnologicamente, sovrapponendo ai mirini dell’artiglieria gli obiettivi delle camere in un panopticon militare esteso quanto l’Europa contemporanea. Tanto le strategie di combattimento quanto i loro esiti socio-culturali – l’esposizione permanente del e al conflitto – hanno reso, come afferma Karl Kraus, l’umanità stessa, da un secolo ai suoi ultimi giorni, «un posto di osservazione militare».
Alla convergenza di metafore, metodologie e oggetti dell’osservazione sta, dunque, il fermento contingente intorno alle commemorazioni della Grande Guerra. Un bombardamento mediatico tale da richiedere per i nostri occhi di oggi, lenti capaci di aumentare le potenzialità critiche dei punti di vista sul 1914, facendo emergere la distanza prospettica dalle visioni che, di quel conflitto,popolano il quotidiano del 2014. Insomma, di guardarci intorno e indietro con degli occhiacci di vetro.
Osservare il «campo di battaglia» della storia fino al 1914, vuol dire, cioè, favorire la nostra miopia cronologica: distinguere, strizzando gli occhi dietro una spessa lente critica, i contorni del campo visivo pur restando spettatori da lontano, senza appiattire il panorama prospettico – il tempo lungo della storia e della memoria – sul presente delle commemorazioni. Perché la guerra sia, riprendendo ancora Kraus, «nel migliore dei casi un insegnamento per immagini» al fine «di evitare altre guerre in futuro».
Erica Grossi
Ricercatrice del progetto “Prima guerra mondiale: la grande trasformazione”
Multimedia
Paul Virilio, Penser la vitesse/Denker der Geschwindigkeit:
Consigli di lettura
Occhiacci di legno di Carlo Ginzburg
“Tutto il mondo è paese non vuol dire che tutto è uguale: vuol dire che tutti siamo spaesati rispetto a qualcosa e a qualcuno.” Il libro indaga, da punti di vista diversi, le potenzialità cognitive e morali, costruttive e distruttive dello spaesamento e della distanza. Perché una lunga tradizione ha attribuito allo sguardo dell’estraneo – del selvaggio, del contadino, dell’animale – la capacità di svelare le menzogne della società? Perché la riflessione sul mito serve a distanziare la realtà, mentre il mito è spesso uno strumento politico per controllare gli ignari? Perché nel Medioevo, durante i funerali del re di Francia e d’Inghilterra, veniva portato in processione un fantoccio detto “rappresentazione”? Perché il Cristianesimo fece propria la proibizione mosaica delle immagini ma favorì da un certo momento in poi la diffusione di immagini devozionali? Perché lo stile è stato usato, a seconda dei casi, per includere o escludere ciò che è culturalmente diverso? Perché ricorriamo così spesso a metafore visive come “prospettiva” o “punto di vista”? Uccidereste un mandarino cinese sconosciuto se vi venisse offerta una grossa somma?
Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento di Enzo Traverso
Nel 1989, la caduta del Muro di Berlino ha messo fine al xx secolo. Ciò che sino al giorno prima era percepito come presente è diventato storia. Scossa da questa svolta, la storiografia ha dovuto rivedere i propri paradigmi, interrogarsi sui propri metodi, ridefinire i propri campi di ricerca. Le rigide partizioni della guerra fredda sono state sostituite da un mondo “liquido” e la nuova storia globale, al posto di un secolo diviso in blocchi, inizia a vedere una rete di scambi economici, di movimenti migratori, di ibridazioni culturali su scala planetaria. La storia fondata sulla “lunga durata” ha lasciato spazio alla riscoperta dell’avvenimento, imprevedibile, eruttivo e spesso enigmatico. Parallelamente, la memoria è divenuta un prisma privilegiato attraverso cui rileggere il passato. Una volta entrata nell’officina della storia, essa ha ridisegnato il profilo del xx secolo come tempo di violenza e di vittime. In questo libro, Enzo Traverso ricostruisce magistralmente il quadro d’insieme dei mutamenti che sono al centro dei grandi dibattiti storiografici attuali. Affronta le grandi categorie interpretative, sia classiche (come rivoluzione, fascismo) sia nuove (come biopotere), per mettere in luce tanto la fecondità quanto i limiti dei loro apporti o delle loro metamorfosi. Interroga il comparativismo storico, studiando dapprima gli usi della Shoah come paradigma dei genocidi, quindi mettendo a confronto l’esilio ebraico e la diaspora nera, due delle maggiori questioni della storia intellettuale. Analizza infine le interferenze tra storia e memoria, tra presa di distanza e sensibilità del vissuto, che sono al cuore di ogni narrazione del xx secolo.