Professore di Economia e Filosofia, Harvard University

E’ difficile fornire una stima precisa del numero di persone che soffrono la fame. Vi sono, infatti, numerosi metodi per calcolarlo, e diversi modi per IMG_0143definire la fame e la denutrizione. Ciò che, invece, appare fin troppo chiaro è che non importa come misuriamo l’incidenza della fame o quale sia il metodo che utilizziamo per calcolarla: il numero risulterà comunque molto elevato. Una stima effettuata dall’Hunger Project, pochi anni fa, ha calcolato in circa 870 milioni le persone che si possono con certezza definire denutrite o affamate. Questa cifra potrebbe anche non essere considerata esatta, ma è difficile non essere seriamente preoccupati per quella che appare una percentuale enorme di popolazione (ben più di una persona su dieci sulla terra) che vive in condizioni di fame e di denutrizione.

Più di quaranta anni fa, nel 1981, in un libro intitolato Povertà e Carestie, ho cercato di spiegare il fenomeno delle carestie attraverso l’idea di food entitlement, e credo di poter affermare con una certa plausibilità che tale concetto si è rivelato utile a spiegare le fasi antecedenti e le caratteristiche alla base delle carestie. E’ dunque lecito domandarsi se lo stesso concetto, chiamando in causa il tema delle disponibilità di beni in generale e della disponibilità di cibo in particolare, sia utile a spiegare la persistenza di un fenomeno diffuso e costante nel tempo come la fame (al contrario delle carestie che sono periodiche) in questo mondo relativamente prospero.

L’idea alla base del concetto di food entitlement è estremamente semplice. Poichè il cibo e le altre merci non sono distribuiti gratuitamente, il loro consumo – e in particolare il consumo alimentare – dipendono dal paniere di beni e servizi che l’individuo è in grado di procurarsi. In un’economia di mercato, la variabile cruciale è la quantità di cibo pro capite che una personariesce ad acquistare sul mercato o che già possisen_vecaede perché la produce nel proprio appezzamento di terra (situazione particolarmente rilevante per chi lo possiede o lo coltiva). La presenza di cibo nel mondo, o in un paese, o persino a livello locale, non renderà, di per sé, più semplice il reperimento di cibo da parte di chi soffre di malnutrizione. La quantità che possiamo acquistare, dipende dal nostro reddito, il quale a sua volta dipende da cosa abbiamo da vendere (in termini di i servizi che siamo in grado di offrire, di beni che produciamo, o di forza lavoro che siamo in grado di offrire e dunque, di salario. La quantità di cibo e merci che riusciremo ad acquistare, dipenderà dalla nostra condizione occupazionale, dal saggio di salario e dalle altre forme di remunerazione, dai prezzi del cibo e delle altre merci che acquistiamo con il nostro reddito. Il fenomeno della fame, come ho cercato di argomentare nel mio libro del 1981, deriva dal fatto che le singole persone non hanno cibo a sufficienza – e non dalla mancanza di cibo in quantità sufficiente a sfamare l’intera popolazione di quel determinato paese o regione.

Dunque la variabile cruciale in gioco sono le attribuzioni, ossia la capacità di acquisire e di disporre di un insieme di panieri alternativi di beni. All’interno del perimetro dell’entitlement, una famiglia può scegliere uno qualsiasi dei panieri alternativi compatibili con i mezzi di cui dispone. La quantità di cibo presente in ciascun paniere determina ciò che la famiglia è in grado di consumare, e, di conseguenza, se i membri della famiglia patiranno o meno la fame.

Da che cosa dipende allora tale attribuzione? In un’economia di mercato dipenderà, tra l’altro, dalle risorse di cui si dispone e dalla dotazione iniziale: forza lavoro, disponibilità di terra e di ogni altro asset che può essere direttamente impiegato nella produzione o nella vendita sul mercato. Dipenderà inoltre dalle effettive opportunità di lavoro o di vendita di beni e servizi offerte dal mercato, dai prezzi e dalle disponibilità di cibo e di altri beni che desideriamo acquistare col denaro guadagnato. Se avremo abbastanza cibo da mangiare o se patiremo la fame, dipenderà dunque dalla nostra dotazione e dalle condizioni di produzione e scambio, che insieme determinano la nostra attribuzione. La fame e la denutrizione sono essenzialmente il frutto di un fallimento del sistema delle attribuzioni.

Amartya Sen
Professore di Economia e Filosofia, Harvard University


Consigli di lettura

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La collana propone i testi degli interventi degli intellettuali e delle figure pubbliche che Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha coinvolto per segnare le tappe della sua attività nell’esercizio della sua funzione pubblica come centro di ricerca volto alla diffusione dei temi e dei percorsi di innovazione.

L’ebook presenta la versione integrale dell’articolo di cui sopra: il testo è tratto dalla Lecture di Amartya Sen tenutasi il 19 maggio 2014 a Milano in occasione di Laboratorio Expo.

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Multimedia

Amartya Sen in dialogo con Salvatore Veca e Enrica Chiappero Martinetti nella sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (19 maggio 2014):

Per il percorso sviluppo sostenibile, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli all’interno di Laboratorio Expo, ha ospitato una Lecture di Amartya Sen: I rapporti tra alimentazione e popolazione nel mondo contemporaneo: una tesi ragionata. Guarda il video integrale della Lecture del 19 maggio 2014:

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