Cosa fare del patrimonio immobiliare pubblico non più utilizzato dalle amministrazioni? Non è un caso che sul tema si discuta anni: molte amministrazioni dispongono di beni che non servono più o che potrebbero essere sostituiti da altri immobili, più funzionali e meglio localizzati. La messa a valore di un patrimonio di vaste proporzioni non più utilizzato rappresenta una sfida tanto per i nostri territori quanto per le finanze di molte amministrazioni.
Le politiche di valorizzazione del patrimonio pubblico si sono di norma concentrate sullo spostamento di questi beni verso il mercato. L’ipotesi assunta è semplice: il mercato dispone di risorse e conoscenze in grado di assicurare impieghi efficienti a risorse altrimenti destinate all’abbandono. Con simili presupposti, le politiche hanno premiato lo snellimento dei procedimenti patrimoniali e la possibilità di rapide varianti urbanistiche.
Alla luce delle nuove coordinate del mercato immobiliare, queste politiche si sono rivelate inefficaci. Senza domanda, developer e investitori hanno trattato con indifferenza l’offerta di nuovi immobili destinati a trasformazione, con l’effetto di lasciare senza esito i propositi di valorizzazione delle amministrazioni.
In un patrimonio sospeso tra l’abbandono delle amministrazioni e il rifiuto del mercato hanno preso avvio forme originali di valorizzazione promosse da associazioni, imprese e professionisti. Gli ambiti di azione sono i più diversi ambiti: fab lab e nuova manifattura digitale, giovani professionisti alla ricerca di spazi di co-working, atelier di artisti e centri di produzione culturale. Una nuova economia si è fatta avanti in immobili altrimenti abbandonati, dando opportunità a iniziative che avrebbero trovato evidenti difficoltà ad affermarsi altrimenti.
I casi e le esperienze riguardano diverse regioni del Paese: la riconversione dell’
Ex Fadda – spazi interni
Ex Fadda – spazi esterni
Il patrimonio pubblico ospita attività sperimentali, ne permette lo sviluppo a costi contenuti e favorisce la creazione di inediti ecosistemi di lavoro e impresa, dà spazio a comunità aperte che si propongono con progetti e iniziative capaci di promuovere simultaneamente sviluppo economico e rigenerazione di parti di città. Gli immobili pubblici si trasformano così da riserva di valore finanziario in nuovi beni comuni, risorse a disposizione di nuove formazioni sociali ed economiche.
Il successo di alcune esperienze non deve nascondere i numerosi passaggi critici di una simile trasformazione. Il patrimonio pubblico non si trasforma in common ovunque con la stessa facilità. Conta, in primo luogo, la dotazione di capitale sociale: la qualità e l’intensità delle relazioni sociali presenti in un territorio giocano un ruolo di rilievo nella formazione di iniziative dal basso. Tuttavia, la storia e il suo portato in termini di costrutti sociali non rappresentano una condizione vincolante: il ruolo delle politiche pubbliche, soprattutto laddove capaci di mobilitare nuove energie, si è rivelato decisivo, come dimostra il caso di Bollenti Spiriti in Puglia.
Non tutti i luoghi sembrano favorire allo stesso modo la trasformazione del patrimonio a servizio della comunità. I nuovi common hanno sede nelle città e, più precisamente, nelle aree centrali di queste ultime, a conferma della relazione tra la densità delle relazioni sociali e la creazione di valore in ambito urbano. Non tutti i beni, ancora, si rivelano immediatamente disponibili: le opportunità maggiori le hanno gli immobili che richiedono investimenti contenuti poiché nella maggioranza dei casi le comunità hanno idee e progetti, ma limitate risorse da investire nella riqualificazione dei beni.
Due aspetti legati alle forme del partenariato pubblico privato segnano il successo delle sperimentazioni sul campo. Il primo è legato alla flessibilità delle relazioni patrimoniali tra amministrazione e comunità. La sperimentazione non consente contratti onerosi e deve permettere alle parti rapide strategie alternative: non stupisce che la formula maggiormente impiegata sia quella del comodato d’uso gratuito, con la possibilità di investimenti variabili per somme e tempistica. Il secondo riguarda la figura di un soggetto unico in grado di federare le molte anime di comunità sorte dal basso: lo spontaneismo lascia spazio a formule organizzate intorno a figure capaci di interloquire efficacemente con le amministrazioni proprietarie.
Fuori dal recinto squisitamente mercantile, le nuove forme di valorizzazione del patrimonio non si rivelano né scontate né di semplice attuazione. Tuttavia, esse mettono in luce la forza di nuove economie e formazioni sociali capaci non solo di dare sostanza al tema della rigenerazione del patrimonio, ma anche di prefigurare i tratti del lavoro e del welfare nelle città di domani.
Per un approfondimento alla ricerca sulla valorizzazione dei beni pubblici tramite iniziative dal basso si rimanda a:
Mangialardo, A., and Micelli, E. (2017) From sources of financial value to commons: Emerging policies for enhancing public real-estate assets in Italy. Papers in Regional Science, doi: 10.1111/pirs.12310. http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/pirs.12310/full