I dati sono un aspetto sempre più rilevante delle nostre vite. Soprattutto a seguito della diffusione dei dispositivi mobili, in ogni momento della nostra vita – mentre lavoriamo, quando facciamo acquisti, nel tempo libero – produciamo (consapevolmente o meno) dei dati. E i dati sono le fondamenta su cui si basano i processi decisionali, quelli del singolo individuo come quelli delle organizzazioni. Si tratta dei cosiddetti big data, l’insieme di informazioni individuali che, una volta aggregate, possono dare a chi le possiede una fotografia completa e dettagliata di una società (o, almeno, di quella parte di società connessa alla Rete).
Quella dei big data è una questione rilevante da affrontare anche sul piano politico. Partendo dalla questione del voto elettronico, Andrea Daniele Signorelli su Pagina 99 arriva a tracciare scenari quasi distopici di intelligenza artificiale al potere. “A cosa serve avere delle elezioni democratiche quando gli algoritmi sanno già come voteremo?”, è la (provocatoria) domanda che si pone. Ma il punto non è tanto che gli algoritmi conoscano le nostre preferenze politiche, il punto è il perché (e il come) gli algoritmi arrivino ad avere quelle informazioni. Una (altrettanto provocatoria) risposta è che gli algoritmi sanno come voteremo non solo perché noi – di nuovo, consapevolmente o meno – glielo abbiamo comunicato, ma anche perché loro stessi hanno contribuito a plasmare quelle preferenze.
Il controllo e la qualità dell’informazione sono aspetti fondamentali per valutare la qualità delle democrazie. Sempre più persone si informano online, nello specifico attraverso i social network, con la conseguenza di incontrare opinioni non troppo dissimili da quelle di chi fa parte della stessa “bolla”. Non si tratta di un fenomeno nuovo, o perlomeno non possiamo dire di non essere stati avvertiti. Già nel 1995 Nicholas Negroponte parlava della possibilità di un DailyMe, cioè appunto di un quotidiano personalizzato, tagliato sugli interessi del singolo, reso possibile dalle nuove tecnologie. E le campagne elettorali stanno seguendo il medesimo destino, con messaggi cuciti sulle preferenze del singolo elettore. Preferenze che, presumibilmente, si sono costruite anche attraverso l’informazione raccolta sui social network.
Da una parte, quindi, il sistema delle “bolle informative” funziona perché il singolo, con le sue scelte, decide di esporsi soltanto ad alcuni contenuti; dall’altra, il sistema (il cosiddetto algoritmo) rafforza e non smentisce la scelta del singolo, mostrandogli soltanto informazioni affini alle proprie preferenze. Ma chi ha il controllo sui dati che diamo all’algoritmo, e sui criteri in base ai quali l’algoritmo ci propone una determinata informazione? È necessario sensibilizzare i cittadini sulla questione del controllo dei propri dati, che sono e saranno sempre più una risorsa fondamentale su cui si baseranno le nostre società. E sulla necessità di algoritmi più trasparenti. Perché la tecnologia non è neutrale: dietro l’algoritmo ci sono delle persone, e dei valori.
Leggi l’articolo su Pagina99