La tecnologia ha da sempre rappresentato il fattore chiave di sviluppo dei paradigmi economici del XX e XXI Secolo. La varietà di questi paradigmi, sviluppatisi in concomitanza con l’evoluzione dei modelli sociali, alimenta un terreno di riflessione sia sulle opportunità che esse generano sia in merito alle sfide che esse impongono.

È vero che le economie generano nuove industrie (blue economy, sharing economy, circular economy, gig economy), creando occupazione e dando vita a nuove figure di lavoratori. Ma allo stesso tempo questi settori faticano ad includere in maniera efficiente una parte significativa di popolazione, intrappolata nei framework cognitivi delle economie tradizionali (generando problematiche e conflitti sui temi del mercato del lavoro e nella programmazione delle politiche sociali).

In quest’ottica, la sfida principale è l’ampliamento delle formule di sperimentazione e co-produzione tra pratiche imprenditoriali e politiche abilitanti: dalle tecnologie alla promozione di nuovi modelli d’impresa, di finanza sostenibile (capitali pazienti), di innovazione sociale nella produzione di beni e servizi tradizionali.

Questa sfida impone la ricerca di un’azione congiunta tra diversi attori per trovare soluzioni efficienti, abilitando ecosistemi competenti utili a promuovere “dal basso” progettualità ed investimenti, includendo le diverse componenti della nostra società, sviluppando un mercato del lavoro competitivo e flessibile rispetto alle repentine innovazioni tecnologiche e culturali.

Alla prospettiva di un mondo sempre più tecnologico può corrispondere un mondo di disoccupazione, come molti analisti tendono a delineare. In questo scenario, policy maker, regolatori ed operatori privati condividono dunque la responsabilità nel promuovere nuove economie capaci di rigenerare le capacità di imprese e lavoratori, creando nuovi prodotti e servizi sostenibili, promuovendo comportamenti utili a massimizzare benefici sistemici e forme virtuose di interazione sociale.

Alcuni esempi?

Un tema di particolare rilevanza è rappresentato dagli “ibridi organizzativi” ed imprenditoriali per innovare il mercato dei servizi (Venturi e Zandonai, 2014), tema che riguarda con particolare rilevanza le fasce d’età giovanili poco inclini ai modelli di business tradizionali (Miller, 2016).

In Italia, le Benefit Corporation rappresentano uno dei dibattiti caldi sull’innovazione organizzativa capace di promuovere trasformazioni urbane a partire da investimenti collettivi: dal commercio all’energia passando per il social housing. Per esempio: società come NWG per l’energia e Newcoh srl per i servizi relativi all’abitare collaborativo.

Consideriamo le formule di innovazione finanziaria, come la finanza di impatto. Nata per cogliere le sfide della sostenibilità, la finanza a impatto sociale ha recentemente coinvolto grandi operatori come Ubs, Merrill Lynch e Deutsche Bank, che hanno lanciato i primi impact fund. A questi grandi player sono seguiti gli investimenti governativi: primi tra tutti la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che nel 2011 hanno sperimentato i social impact bond per il reinserimento sociale degli ex-detenuti delle carceri. Una stima del centro Tiresia del Politecnico di Milano sostiene che in Italia nel 2020 in questo settore si possa arrivare fino a 3 miliardi di investimenti complessivi.

Lo sviluppo del mercato digitale per i servizi inscrivibili all’interno del “microcosmo” dell’innovazione sociale rappresenta un’importante orizzonto di sviluppo di “altre economie” e forme di lavoro. In questo breve saggio, pubblicato per Etica ed economia menabò, Giuseppe Greco offre un approfondimento sulle opportunità del market-place digitale come nuovo strumento di ridiscussione delle politiche sociali verso l’ingaggio di pratiche di innovazione sociale e percorsi di “secondo welfare”.

 

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