“Lo sviluppo deve trasformare la vita delle persone, non soltanto l’economia”
Joseph E. Stiglitz, 2006, La globalizzazione che funziona
Nel 2014, l’umanità è giunta a un punto di svolta: da allora, più di metà della sua popolazione vive nelle città, considerando come tali gli agglomerati urbani con almeno 50.000 abitanti.
La città è senza dubbio il segno più tangibile della presenza dell’uomo sulla Terra. Contrariamente al pensiero popolare, non è la Muraglia Cinese l’opera umana visibile dallo spazio ma l’immensa distesa delle nostre città che illumina il cielo notturno, che mostra l’espansione umana ben più degli invisibili confini nazionali.
L’economia globale spinge sempre più persone a riversarsi nelle città per procurare il proprio sostentamento. Nelle città è più facile trovare i servizi più essenziali, come scuole o ospedali, oppure uscire dalla morsa della fame. Nelle campagne più povere del mondo non c’è niente, nelle città si può sempre rovistare tra i rifiuti o trovare lavori di giornata.
È questo un trend che va consolidandosi dalla Rivoluzione Industriale: i campi agricoli si meccanizzano, servono meno contadini, chi vive solo del proprio lavoro si sposta nelle aree industriali e si converte a operaio. Negli ultimi quarant’anni, però, un processo analogo di automazione ha investito lentamente anche le industrie del nostro pianeta. Anche qui, per ogni unità prodotta occorrono sempre meno ore lavoro quindi meno addetti impiegati. Di nuovo, le aree a produzione prevalentemente industriale stanno subendo un lento processo di spopolamento (famoso è il caso di Detroit[1]). Con i campi coltivati e i capannoni industriali già col “tutto esaurito”, chi è rimasto senza opportunità vede come migliore alternativa lo spostarsi nelle grandi città, dove l’economia dei servizi può ancora offrire lavoro.
Nonostante questa problematica fase dello sviluppo, l’economia mondiale appare florida come non mai: nel suo insieme, la produzione aggregata globale viaggia a medie di crescita del 4% annuo, nello scorso decennio, con picchi positivi nei paesi in via di sviluppo, e ciò è dovuto principalmente al ruolo delle città. Oggi, oltre l’80% del PIL mondiale è generato nelle aree urbane, parliamo di oltre 60 trilioni di dollari USA. Viene, dunque, da chiedersi: chi sta giovando di questa enorme ricchezza prodotta?
Sin dalle scuole, siamo abituati a dividere il mondo tra paesi ricchi e poveri, immaginando le disuguaglianze più come inter-nazionali che intra-nazionali. Effettivamente, durante il secolo scorso questo ragionamento era abbastanza vero, diversamente dalla maggior parte della storia dell’umanità. Negli ultimi decenni, la tendenza sta andando di segno opposto: le nazioni son sempre meno diseguali tra loro e sempre di più al loro interno. La crescita delle disuguaglianze di reddito (indicata con il coefficiente di Gini) non solo investe la maggior parte delle nazioni ma è sempre maggiore nelle grandi città rispetto al proprio paese di appartenenza, in ogni angolo del globo. Come mostrato nel Grafico 1.
Le megalopoli del mondo attraggono sempre più persone in fuga dalla fame e dalla perdita di opportunità ma non riescono a offrire loro nulla più che la sussistenza, mentre i più ricchi continuano ad accrescere il proprio reddito e ad abbellire i propri quartieri. Senza scomodare le vistose favelas brasiliane, poste accanto alle ricche ville con piscina; anche le disparità nella nostrana area metropolitana di Milano son sempre più accentuate. Camminando per le strade, si pensi alle differenze tra Montenapoleone e Corvetto, e nelle statistiche del reddito. Prendendo la prima cerchia di comuni, nel giro di poche centinaia di metri, si vedono zone come Arese (31.700€ di reddito medio) e Baranzate (18.300€). Al giorno d’oggi, la città è sempre più il luogo delle disuguaglianze.
Letture consigliate:
Atkinson, A. B. (2015): Disuguaglianza. Che cosa si può fare, Raffaello Cortina, Milano.
Milanovic, B. (2012): Chi ha e chi non ha. Storie di disuguaglianze, il Mulino, Bologna
Sassen, S. (2015): Espulsioni: brutalità e complessità nell’economia globale, il Mulino, Bologna
Friedmann, J., & Wolff, G. (1982). World city formation: an agenda for research and action. International Journal of Urban and Regional Research, 6(3), 309-344. (solo in inglese)
[1] Sampsell-Willmann, K. (2016). Beautiful Terrible Ruins: Detroit and the Anxiety of Decline. Journal of American History, 103(3), 851-852.
[2] “Il coefficiente di Gini è un indice statistico usato per misurare la disuguaglianza di un carattere della popolazione, nella maggior parte dei casi il reddito. Esso ha valore compreso tra 0 e 1, dove nel caso estremo 0 il carattere è ugualmente distribuito tra tutta la popolazione e nel caso estremo 1 un solo individuo detiene la totalità di questo carattere. Nel caso più applicato, quello delle disuguaglianze di reddito, una popolazione è poco disuguale quando il coefficiente è inferiore a 0,3 ed è molto disuguale quando è sopra 0,45”
Si veda anche: Gini C., Variabilità e mutabilità, 1912.