Cultura, creatività, insieme a innovazione, lavoro culturale e cognitivo, economia della conoscenza, nuove competenze, sono alcune delle parole che ricorrono da qualche tempo nelle descrizioni di chi si occupa di imprese culturali, industrie creative e di produzione contemporanea. Cultura e creatività si stanno, infatti, addensando sempre di più di nuovi significati, che hanno a che fare con processi che portano all’innovazione e con quelle attività legate alla conoscenza che non sono più solo riconducibili alle pratiche del turismo e del consumo, ma anche, e con sempre maggiore consapevolezza, a quelle della produzione, del lavoro e, conseguentemente, della formazione e dell’apprendimento.
Creatività e cultura sono diventate negli ultimi anni gli attributi di una serie di attività produttive capaci, da un lato, di produrre valore economico e delineare nuovi profili professionali e, dall’altro, di incidere sugli spazi della città, di avvalersene e di modificarli, spesso innestandosi in quelli che erano stati gli spazi della produzione artigianale e industriale, trasformandoli in centri di servizi avanzati e in spazi che ospitano forme innovative di produzione di conoscenza. Studi di progettazione, spazi multifunzionali con attività di ristorazione, gallerie d’arte, spazi espositivi, dell’editoria e della produzione di contenuti multimediali, teatri di posa, laboratori e set fotografici e poi ancora spazi commerciali, per il co-working, fab-lab, maker space, rappresentano nel loro complesso un insieme di attività produttive e pratiche professionali e imprenditoriali estremamente variegato ed eterogeneo per tipologia, dimensioni e impatti. Le molteplici dimensioni della creatività e della cultura, la difficoltà di definirne la natura e di misurarne l’entità e gli impatti, rendono molto labile il confine tra produzione, consumo e vendita, e contribuiscono ad una commistione sempre maggiore tra competenze e profili professionali diversi e ad una sovrapposizione estrema tra percorsi e tempi di vita, della formazione e del lavoro.
Una delle ultime ricerche su questi temi proposta dalla fondazione inglese Nesta riguarda esattamente i profili professionali legati a cultura e creatività, e la necessità di conciliarli con le implicazioni legate all’innovazione e alla digitalizzazione da una parte e con la possibilità di creare occupazione rispondendo a un mercato del lavoro sempre più in trasformazione, dall’altra.
Nel Regno Unito tra il 2011 e il 2015 l’occupazione legata ai settori creativi è cresciuta del 19,5%, in contrapposizione ad un crescita generale del solo 6,3%. Alcuni profili specifici sono, quindi, in continuo aumento – dai programmatori agli attori, dai professionisti della pubblicità o della fotografia, agli sviluppatori di videogiochi, dagli artigiani agli architetti e designer. Figure altamente qualificate e competenti, che contribuiscono allo sviluppo di un’economia nazionale innovativa ed ad alto valore e che, allo stesso tempo, possono contribuire positivamente a contrastare la perdita di posti di lavoro sostituiti dalle macchine.
In vista della possibilità di sostenere questo tipo di economia e creare, nei prossimi anni, nuovi posti di lavoro creativi, risulta sempre di più necessario riflettere su quali debbano essere le competenze per accedere a tali posizioni sul mercato, e soprattutto sullo sviluppo di un sistema educativo multidisciplinare che combini sia discipline scientifiche che artistiche e creative.
In questa direzione la crescente rilevanza dei discorsi intorno alla conoscenza, al lavoro cognitivo e culturale può essere in grado di mettere al centro dei processi produttivi l’apprendimento, la formazione e l’informazione come strumenti per innovare e generare nuovi significati, nuovi valori e nuove economie.
Attraverso l’analisi di alcuni annunci per posizioni lavorative on line, Nesta propone, dunque, un catalogazione delle skill necessarie più frequenti, suddivisa in cinque cluster: tecnologia e sistemi informatici, supporto, gestione e relazioni; marketing e promozione; creatività e grafica; insegnamento e formazione.
Tutte le capacità raggruppate all’interno di ogni cluster vengono valutate come essenziali allo sviluppo di un processo creativo, sebbene alcune di esse sembrino essere più direttamente legate ad uno spirito creativo e culturale in contrapposizione ad altre, che invece appaiono come più complementari.
Il passaggio successivo a questa prima identificazione deve essere necessariamente quello di mettere correttamente in relazione le competenze e le conoscenze con i profili professionali più adatti, non facendo riferimento al mondo dei lavori creativi come a un unicum omogeneo, ma sottolineando le differenze e la varietà delle occupazioni e delle attività che all’interno di esso si possono identificare. Sia per la pluralità di settori coinvolti, sia per le interrelazioni sempre più rilevanti con altri settori ad esempio quello commerciale (in particolare per quanto riguarda i settori alimentari, o dell’artigianato o per le attività di showroom e vendita).
Il supporto allo sviluppo delle industrie creative e l’investimento in questa tipologia di profili professionali sembrano essere imprescindibili da un adeguato processo di formazione e di acquisizione delle competenze necessarie. Chi si forma per accedere al mondo del lavoro creativo, dunque, deve avere accesso ad un’ampia e variegata gamma di soggetti e tecnologie che garantiscano un’adeguata preparazione, capace di mettere l’accento sia sulla dimensione culturale e creativa come motore dell’attività produttiva di servizi e prodotti, che su competenze più tecniche e complementari.