Risposta del Sig. A. Brofferio al discorso di Massimo D’Azeglio.
RISPOSTA
DEL SIC A. BROFFERIO
AL DISCORSO
DI MASSIMO D’AZEGLIO
Nel giorno in cui il Re si restituiva fra il pubblico desiderio alla capitale, e volgevasi alla nazionale milizia con nobili e affettuose parole, affiggeva sui cantoni e si vendeva sotto i portici della città uno scritto
provocatore, che per l’improntitudine dei consigli e la, violenza delle
espressioni destava, per non dir altro, la pubblica sorpresa.
Questo scritto era preceduto da un esordio impertinente, di cui ci è
nota 1′ officina, contro i ridicoli scimiotti di Marat e di Robespierre ; e
tutti riconobbero al linguaggio i pappagalli dei Guizot e dei Narvaezj
dei Lambruschini e dei Bozzelli.
Facean segno costoro alle ire dell’ onesto popolo il partito democratico,
che essi, con sinistri divisamenti, chiamano repubblicano; el’onesto popolo
invitavano a maledire [predicatori da trivio, i ribaldi profanatori di li-
bertà , i despoti in piazza, i scimiotti di Robespierre, come se 1′ onestà dei
propositi avesse che fare coi scellerati dei desiderii.
Per buona sorte, la popolare intelligenza mostrò assai bene di com-
prendere che i piaggiatori dell’onesto popolo si accingevano niente meno
che a sollevare la plebe contro i cittadini, come gli Austriaci fecero in
Gallizia, e tentarono invano di fare in Lombardia.
Ma la pubblica maraviglia divenne assai più grande, allorché lo scritto,
a cui serviva d’introduzione il malefico esordio, svelava il nome di Mas-
simo Azeglio, il quale, nel farsi altre volte censore delle esorbitanze
dei troni, si vestiva di tanta moderazione , che trovava persino qualche
elogio per papa Gregorio, di felice ricordanza.
E che vuol dir ciò? Voi, signor Azeglio, che alzavate la bandiera
della moderazione quando si trattava di dire la verità ai regnanti, voi
non conoscete più confine, ora che si tratta di resistere, come voi scri-
vete , alla sovranità popolare, e non trovate nel dizionario delle contu-
melie invettiva che basti per dare addosso ai repubblicani ?… In verità
voi superate ogni nostra aspettazione.
Non è mio intento di difendere i repubblicani : se in Italia ve ne sono,
lor tocca difendersi. Non posso a meno tuttavia di riflettere che men di-
scosta dai repubblicani che dai moderati sta una parte di cittadini, che
vede riposta la conservazione della monarchia in una sincera alleanza
colla repubblica. Questa parte io la chiamo democratica, ed è in nome
della costituzionale democrazia che io dico al signor Massimo Azeglio,
che dal partito moderato nel 48-46 al partito retrogrado nel 1848 non
passa omai differenza, e che, ai tempi che corrono , la salute del-
l’ Italia è nel popolo, e non nelle livree di corte di qualunque genere e
di qualunque colore.
Chi crederebbe che è Azeglio che parla quando siam percossi da una
stridula voce, che accusa a Genova e a Livorno eunuclii Catilini, sfi-
brati Masanìelli, e chiama la maledizione sul capo di tutti quelli che non
appartengono al suo partito, e si mette in collera col Duca di Toscana
perchè non impiega la forza fortemente, risolutamente, e avverte l’Italia
che è venuta l’ora per lui di parlar fuori dei denti !
E perchè non parlaste fuori dei denti ( poco nobile è l’espressione e
non degna di Azeglio) all’infame Borbone, che esulta sui cadaveri e
passeggia con real gioja sulle mine della Sicilia ? Perchè non parlaste
fuori dei denti a Pio IX, che colla libertà dell’Italia comprometteva la
religione del Vangelo, tanto che in Lombardia si volgon le spalle all’al-
tare per avversione al Pontefice ? Perchè taceste a Leopoldo, che coll’im-
popolare governo e colle improvvide tergiversazioni faceva credere di
non aver deposto ancora 1′ austriaca divisa ? Perchè non avvertiste Carlo
Alberto, che il sublime proposito di liberare l’Italia non poteva riuscire
a buon fine, circondandosi nella reggia e nel campo d’uomini da antico
avversarli della italiana indipendenza ?… Se queste cose aveste dette
quando era tempo, voi, signor Azeglio, che eravate in gran credito
alle corti italiane, avreste potuto sottrarre la patria ai fieri colpi da
cui fu percossa, e non vi sareste creduto in obbligo.adesso di gridare
anatema sopra i repubblicani, di accusarli in faccia all’ Europa come
autori dei patiti disastri, e di chiamare sopra di essi la ^maledizione
dell’ universo.
Ma poiché voi cercate gli autori delle nostre perdite e delle vittorie
tedesche, volete voi che io ve li additi i veri autori delle miserie no-
stre ?… Ebbene interrogate le dottrine di cui si fece insegnatrice la vo-
tra scuola d’impotenza, decorata del fastoso titolo di scuola di mode-
razione ; e gli autori li troverete.
Predicarono i moderni di lasciare in un angolo la libertà, e di pen-
sare unicamente all’indipendenza. Questa predica la ripeterono tanto e
poi tanto, che il governo Piemontese la tenne per articolo di fede, e
prima di provvedere agli interni ordinamenti si accinse a portare le armi
contro l’usurpazione straniera. Che ne avvenne? I retrogradi al potere,
i gesuiti colle mani in pasta, i cortigiani ai supremi gradi dell’esercito,
si adoprarono a tutt’uomo perchè l’indipendenza soggiacesse : e seppero
così ben dire e così ben fare, che i loro voti furono compiutamente
esauditi.
Ditemi, signor Azeglio, sarebbe ciò accaduto se le leggi costituzio-
nali si fossero veramente attivate, se un ministero veramente liberale si
fosse istituito, se il gesuitismo si fosse da radice svelto, se nelle pub-
bliche amministrazioni si fossero ai retrogradi sostituiti i progressisti,
e se alle vecchie anticaglie di corte si fossero surrogate le verdi spe-
ranze della patria ?… In una parola sarebbe ora umiliata la causa del-
l’ indipendenza , se si fosse promossa colla causa della libertà, da cui
non può andare in nessun modo disgiunta ?
E voi frattanto, signori moderati, per non picchiarvi il petto e chie-
der perdono all’ Italia , trovate spediente di versare i falli vostri sui re-
pubblicani i quali, mentre la moderazione comandava, avevano appena
facoltà di stampare qualche giornaletto per avvertire il pubblico della
vostra incapacità.
Chi ha sin qui avuto il potere ? Sono forse gli amici della democra-
zia ? il potere 1′ aveste voi, signori moderati. E che ne faceste ?… A Na-
poli insauguinaste le vie : a Roma tradiste le speranze del popolo : a
Fiorenza regnaste col sonno; in Lombardia sudaste a spegnere l’entu-
siasmo; in Piemonte convertiste un esercito di valorosi in una schiera
di fuggitivi, e conduceste un fortissimo principe dal sentiero della vit-
toria sulla via dolorosa delle diplomatiche delusioni.
Questo sapeste fare, o moderati, sopra il seggio da voi occupato.
Aspettate che i democratici abbiano fatte le vostre prove, e allora a-
vrete diritto di giudicarli. Frattanto il giudizio che 1′ Europa ha pro-
nunziato sopra di voi è questo: incapaci a distruggere, incapaci a co-
struire , non foste buoni che ad impedire il bene e occultare il male ;
non uscì dalle menti vostre un solo concetto di vivificazione ; e del vo-
stro passaggio al potere non ricorderà l’Italia che qualche,predica edi-
ficante da stampare nella raccolta dei quaresimali.
Per quanto concerne Genova e Livorno, lasciamo che Liguri e Livor-
nesi maturino essi le loro risposte. Noi diciamo soltanto che se la re-
sistenza ai magistrati non si può encomiare, si può ancor meno far plauso
a quei gevernatori, che con illegali provvedimenti e con malefici con-
sigli provocano i popoli all’ insurrezione. E dicano i ministri Pinelli
e Ridolfi se provocato non abbiano.
Una grande stizza hanno i chiari scrittori dell’aristocrazia contro gli
oscuri ambiziosi che vorrebbero innalzarsi a spese del popolo. E voi , si-
gnori patrizii, foste voi dunque senza ambizione ? Chi si è agitato sin
qui nei ministeri , nei gabinetti, nelle corti, e persino nelle sacrestie e
nei conventi per avere impieghi, pensioni, nastri, e cordoni d’ogni spe-
cie ? Siamo noi forse ? E tutto questo a spese di chi lo otteneste ? Nou
è forse a spese del popolo, di cui faceste sempre così basso conto ?…
Eh via, signore Azeglio, lasciamo l’articolo delle ambizioni, perchè mi
farete aprire una pagina che non sarà presto esaurita ; e poiché non
avete riguardo ad affermare che i repubblicani si cacciano dappertutto,
salvo dove fischiano le palle austriache, non vi avrete per male che io vi
citi qualche esempio in contrario.
In primo luogo lasciate che io vi dica che quei drappelli romani e to-
scani, che in riva al Mincio si offersero così generosamente alla morte,
non andarono al campo in nome dei governi di Roma e di Fiorenza, ma
andarono contro la volontà dei loro principi e in nome del popolo.
Lasciate che io vi ricordi quelle valorose colonne di volontari svizzeri,
che fecero così buona prova coli’ Arcioni, coli’ Allemandi, coll’Antonini ;
quelle non potrete dire che non fossero colonne repubblicane.
Bologna, che cacciò via così gloriosamente i Tedeschi dalle proprie
mura, nou è per dir vero repubblica, ma è molto sospetta di esserlo.
Venezia, che sola resiste nelle sue lagune contro il colosso Austriaco,
si è da principio dichiarata repubblica , e non è adesso monarchia.
Garibaldi, che per sedici giorni metteva in fuga, con due mila stu-
denti , un’ intiera divisione austriaca, combatteva per la repubblica a
Montevideo, ed a Luino scriveva sopra la sua bandiera Dio e il Popolo.
Da questi esempii voi potete convincervi, sig. Azeglio, che alle palle
austriache sanno anche opporsi petti repubblicani ; e poiché a quest’ora
vi credo convinto, mi farò lecito di rappresentarvi che il partito re-
pubblicano , invece di esecrarlo e di maledirlo come voi fate, io vorrei
invitarlo a riconciliarsi colla monarchia in nome appunto di Dio e del
Popolo; e son certo che dove il trono volesse accostarsi alla repubblica
si accosterebbe al trono; e così questi due forti principii, invece di starsi
a fronte con discapito immenso della patria, si confonderebbero in un
principio solo , e dalla fausta alleanza tornerebbe fiducia ai popoli, forza
alla nazione, e l’Italia potrebbe sperare un’altra volta di fare da sé.
Signor Massimo Azeglio, non ringraziate i nostri irritati Licurghi di
avere ristampato e cementato e affisso il vostro discorso. Essi vi hanno
reso un cattivo servizio. L’illustre autore di Ettore Fieramosca e di
Niccolo’ de Lapi non dovea mai permettere che uscissero dalla sua “”^
penna così sventurate imprecauzioni. °;
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Bologna li 27 Settembre 1848. Tipografia tiocchi.