La Repubblica romana
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La Repubblica Romana
articolo estratto dal giornale l’unità anno II n.54
Protetti dal nome della indipendenza e
col grido incessante di guerra gli uomini
dell’ attual rivolgimento, disfattisi crudelmente del più grande ministro italiano, sospinsero il Principe ad esulare, e poscia proclamarono la Repubblica.
Ma che ha fatto finora e fa tuttavia la Repubblica Romana
per la guerra? Brutalmente aggredita e taglieggiata dall’ austriaco a Ferrara, minacciata da forte esercito napoletano ai confini
del regno quali sei ii apparecchi essa ha disposto o dispone per rintuzzare le forze nemiche? Interpellato’nella seduta del 19 febb.
il ministro della guerra intorno ai mezzi di
sicurezza dello Stato , egli fé risposta di aver dato tutte le disposizioni per. provvedere
alla difesa del paese. Mi tasterà di dirvi,
? egli soggiunse ,, che noi ci opporremo con
tutti ì mezzi che abbiamo in nostra disposizione e verseremo tutto il nostro sangue per
respingere l’invasione dello straniero. Quanto
al Regno di Napoli devo dirvi che non ci è
niente riguardo a movimento di truppe, che
possa far sospettare che si vogliano dirigere
gli sforzi dei Napolitani contro di noi. lo eredo anzi che vi sia più paura di un’invasione
nostra, che di una di loro. Ma in quella,,
che il ministro teneva cotale rassicurante linguaggìo, le orde croate, rinnovando con maggiore insolenza che inai le loro aggressioni,
gli davano una solenne mentita. Al tristo
annunzio dell’ austriaca invasione l’Assemblea Costituente mandò unanime un grido
d’indignazione, a cui tennero dietro appelli bellicosi ai Romani agl’Italiani, proleste clamorose e calde del più eroico linguaggio
c’ille potenze tutte d’Europa; ordinò al ministro della guerra di recarsi immantinente
dove maggiore era il pericolo per ripararvi
e vendicare col sangue l’onta ignominiosa
fattaci dall’eterno nostro nemico. Il Ministro
non cammina ma vola a Bologna ; dove appresso tutto questo, era universale aspettazione di grandi fatti. Ma invece?……
Il Ministro non si è mosso della nostra città, niun movimento di truppa, ne di un
soldato solo è intervenuto a tal fine: lo spaventevole uragano che minacciava tante folgori non ha dato che tuono. Le poche truppe che contava lo stato nostro, anziché migliorate nell’ organizzazione e nella disciplina, sono più che prima scomposte; la repubblica non ci ha fallo presente che di un
esercito di ufficiali > i quali, salariati largamente nelle attuali strettezze della patria, la
dissanguano interamente; e ha disciolto l’unico corpo compatto , agguerrito, ben ordinato , che avevamo, intendo dire quello degli Svizzeri, alla prodezza dei quali va cotanto debitrice la gloriosa giornata di Vicenza. A quéste triste considerazioni noi
ci sentiamo stretti da vera carità di patria
ad inculcare a chi non ha scienza del pròprio mestiere ad avere almeno coscienza di
rimetterlo ad altri.
Che fa la Repubblica Romana per consolidarsi all’ interno, per rassicurare i peritosi , per disingannare gli avversi ? Che ha
fatto per rassettare le esauste finanze, per
ravvivare il commercio e V industria, per
far rifiorire il credito, riconducendo la fiducia e la tranquillità negli animi da si lungo
tempo smarrite? Certamente l’Assemblea
non potea in più breve spazio di tempo emanare maggior numero di leggi, di quello
abbia fatto. Ma quali leggi, mio Dio? leggi
per la più parte di distruzione : non si è
posto cura che a demolire, senza punto
darsi pensiero di riedificare. La soverchia
foga di democratizzare il regime non ha lasciato che le leggi vengano discusse con
quella ponderazione e accorgimento che le
circostanze e la riputazione di un nuovo
governo esigevano. Nulla contribuisce maggiormente al trionfo della verità che quelle
nobili lotte dell’ intelligenza, nelle quali vinto e vincitore hanno pari titolo alia pububblica benemerenza.
Per lo che non pochi ordinamenti, non
appena usciti, vennero riconosciuti da quelli
stessi che li emanarono bisoguosi di mende, altri reclamano tuttora modificazioni
dalla pubblica opinione; altri infine, i quali
alla malagevolezza accoppiano grave pericolo nella esecuzione, per la quale appena
varrebbe un governo fortemente costituito.
Che fa la Repubblica Romana all’ estero? Niun governo fuori d’Italia non solo non
ha risposto, che si sappia, alla nota diplomatica del nuovo Ministro degli esteri, ma
tutto fa credere che sia stata accolta con
poca simpatia ; e per fino la speranza di
buona accoglienza e di adesione, che, per
conformità di principiì e di reggimento, si
avea nella Francia più che in altri, ci venne dissipata giorni sono dalle parole pronunziate alla tribuna francese da quel Ministero. Che anzi, se si può giudicare dall’ attitudine della diplomazia di Gaeta e dalle notizie portateci dai giornali, la repubblica sarebbe continuamente sotto la minaccia di un intervento. Né pare abbia trovato
la medesima miglior fortuna presso i governi d’ Italia, poiché il regno di Napoli
non pare disposto a commozioni, e sebbene
la caduta del Ministro Gioberti abbia per
un momento fatto sperare al radicalismo di
aver anche colà trionfato e di aver preparato a’ suoi disegni propizio terreno, tutta volta non crediamo ingannarci, se riputiamo il Piemonte così fermo nelle idee di
conservazione e di attaccamento alla Casa Sabauda , da non lasciarsi trascinare nel movimento. Ben sappiamo che ora si pensa alla fusione di Toscana con Roma, ma
è tale la debolezza materiale a morale di
questi due governi, che anche uniti non ripromettono maggiore speranza di solidità e
di forza. .
Questi travasamene politici, che si chiamano rivoluzioni, i quali trascinano dietro
se inevitabilmente tante commozioni e danni,
non riescono a stabilirsi né a radicarsi nell’ opinione e negli affetti dei popoli, se non
che porgendo loro, per compenso dei nuovi mali , vantaggi maggiori di prima. Un
popolo non acconsente di trapassare per un
cammino di rivoluzioni solo pel piacere di
surrogar uomini nel posto dì altri uomini ;
oggi meno che mai si è disposti a cadere in
questo idiotismo politico. Pertanto che sarà
della Repubblica Romana? Noi ne lasciamo
la sentenza a chi più si travagliò a procacciarcela; a coloro, da cui ora dipendono
le sorti della Patria, i quali meglio che altri debbono essere in grado di apprezzare
le nostre apprensioni.
L. Frati.