Nella narrativa di Primo Levi la mano occupa un ruolo primario. Primo Levi sa (per averlo sperimentato sul proprio corpo) che le mani esprimono una carica di violenza. Tuttavia, o forse proprio per questo, per dare alla mano una seconda chance, la mano è presente nelle sue pagine come capacità di creare, di fare e di “saper fare”.
Le mani di Faussone, il personaggio che al centro de La chiave a stella, di Primo Levi sono il protagonista di quelle storie. Quelle mani prima ancora di essere tecnicamente “buone mani”, sono umanamente “mani buone”. Mani non solo efficaci, anche mani che non fanno male. Anzi, meglio: mani che non causano male.
Come dirà nel 1986 in un’intervista a Philip Roth “Per quanto mi riguarda sono ben consapevole che dopo il Lager il lavoro, anzi, i miei due lavori (la chimica e lo scrivere) hanno avuto, e tuttora hanno, un’importanza fondamentale nella mia vita. Sono convinto che l’uomo normale è biologicamente costruito per un’attività diretta ad un fine, e che l’ozio, o il lavoro senza scopo (come l’Arbeit di Auschwitz) provoca sofferenza e atrofia. (…) Ma ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del ‘lavoro ben fatto’ è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale”. Dunque dignità. Ma non solo.
Rivendicare il primato della mano significa riproporre l’etica degli enciclopedisti, di Diderot soprattutto, per il quale la mano è lo strumento cui l’uomo deve la saggezza, la conoscenza e la sua capacità di dominio della natura.
E’ da qui che riparte Richard Sennett nel suo L’uomo artigiano (Feltrinelli).
La qualità del lavoro dipende, dalla definizione di una filosofia del gruppo di riferimento. In termini di coesione, ma anche di crescita professionale. Si crea coesione se si condividono le competenze, e dunque se si favorisce la crescita degli individui.
E’ ciò che si chiama costruzione del rapporto fiducia, il principio della cooperazione, connesso a quello della crescita di conoscenza. E’ il tema della capability, delle capacità potenziali su cui ha insistito a lungo Amartya Sen, e su cui si è costruita una politica della crescita del talento.
Insieme a quello del talento si pone il problema dell’orgoglio, fattore tanto più decisivo e rilevante nell’ambito dei lavori tecnici (è il tema proposto da Levi attraverso Faussone, ma anche a proposito del comportamento del muratore italiano cui deve la vita). Ma non solo.
E’ il tema su cui Sennett richiama l’attenzione a proposito degli artigiani come individui orgogliosi delle abilità che maturano. Non è solamente un aspetto tecnico. Il tema riguarda la motivazione. Motivazione e possesso della tecnica producono orgoglio.
Tuttavia, l’orgoglio non è solo quello della esecuzione tecnicamente perfetta. Esso nasce anche, o almeno coinvolge anche, la dimensione etica di ciò che si fa, dell’atto che si compie. Nel momento in cui si compie un atto e si dà forma a un oggetto la domanda è: a che servirà? Come sarà usato? Ha una funzione di ausilio? In breve il problema non è solo il fare, ma anche il fine del proprio fare e l’uso che si farà di ciò che è l’oggetto concreto del proprio fare.
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Richard Sennett: L’uomo artigiano
L’uomo artigiano è il perfetto antidoto all’Uomo flessibile: la riscoperta della fondamentale pulsione umana all’arte di saper fare e al saper fare con arte contro l’erosione di ogni eccellenza. Il sociologo americano parla del suo libro alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano insieme a Giorgio Guerrini, Guido Martinotti, Maria Laura Rodotà.
Consigli di lettura
L’uomo artigiano
di Richard Sennett
Saper fare bene le cose per il proprio piacere: una regola di vita semplice e rigorosa che ha consentito lo sviluppo di tecniche raffinatissime e la nascita della conoscenza scientifica moderna. Fabbri, orafi, liutai univano conoscenza materiale e abilità manuale: mente e mano funzionavano rinforzandosi, l’una insegnava all’altra e viceversa. Ma non è il solo lavoro manuale a giovarsi della sinergia tra teoria e pratica. Perché chi sa governare se stesso e dosare autonomia e rispetto delle regole, sostiene Sennett, non solo saprà costruire un meraviglioso violino, un orologio dal meccanismo perfetto o un ponte capace di sfidare i millenni,ma sarà anche un cittadino giusto. L’uomo artigiano racconta di ingegneri romani e orafi rinascimentali, di tipografi parigini del Settecento e fabbriche della Londra industriale, un percorso storico attraverso cui Sennett ricostruisce le linee di faglia che separano tecnica ed espressione.arte e artigianato, creazione e applicazione. Il miglior esempio di “saper fare” moderno? il gruppo che ha creato Linux, gli artigiani della moderna cattedrale informatica.
Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione
di Richard Sennett
La collaborazione è una qualità innata dell’uomo, che fin da neonato è in grado di cooperare con la madre. Tuttavia non è una capacità scontata, che possa svilupparsi da sé, senza venire esercitata e approfondita. La collaborazione è essenzialmente un’arte, un’abilità sociale, e richiede un suo rituale, che va dal semplice dire grazie alle più sofisticate forme di diplomazia. È capacità di ascoltare, confrontarsi, dialogare con il prossimo per realizzare opere e risultati che da soli non si conseguirebbero. È necessaria per operare con persone che non ci somigliano, non conosciamo, magari non ci piacciono e possono avere interessi in conflitto con i nostri. È quindi un’abilità fondamentale per affrontare la più urgente delle sfide dell’oggi, ossia vivere con gente differente nel mondo globalizzato. Nonostante ciò è poco considerata nella società occidentale che le preferisce il modello della competizione individualistica o quello della chiusura di tipo tribale. Richard Sennett discute del perché ciò accada e che cosa si possa fare per porvi rimedio, visto che per prosperare le società hanno bisogno di quello scambio da cui si può trarre beneficio reciproco e mutuo soccorso. In un’indagine di ampio respiro, insieme antropologica, sociologica, storica e politica, mostra che cosa si intenda per collaborazione.