La Fondazione Feltrinelli sta affrontando una nuova sfida.
La nuova sede, inaugurata la settimana scorsa, non comporta solo un monumentale trasloco in una delle aree della nuova Milano, città internazionale della conoscenza e dei saperi. Comporta inevitabilmente un nuovo modus operandi della Fondazione che inscrive le sue attività e i suoi progetti di ricerca e di studio in una prospettiva inedita, mirante alla disseminazione degli esiti e alla offerta del bene comune della conoscenza, della storia, delle scienze della società, del pensiero critico a una più ampia e inclusiva cerchia di cittadinanza democratica.
E’ una preoccupazione e un progetto che sono iscritti nel tempo indietro. E’ a partire dagli anni Settanta, dalla prima metà degli anni Settanta, proprio quando il progetto originario di Giangiacomo Feltrinelli vede la nascita della Fondazione, che il quadro cambia e si inaugura una nuova fase o, in ogni caso, una fase in parte diversa della vita di un’istituzione che aveva ormai già da tempo consolidato la propria fisionomia nazionale e internazionale. Si inaugurano gli anni della ricerca fra tradizione e innovazione. Anni di appassionate congetture e di sostanziale estensione dell’ambito e dei metodi della ricerca nello spazio variegato delle scienze della società. Un’estensione che era del resto coerente con la vicenda dell’Istituto e che è un primo indizio importante di continuità, nel segno della prossimità.
L’idea di fondo era questa: mettere alla prova il repertorio di idee e di categorie ereditato, un repertorio che nella sinistra era allora in larga parte debitore nei confronti di una qualche versione del marxismo, con paradigmi diversi e a volte radicalmente alternativi, avendo come scopo la migliore comprensione dei mutamenti sociali e delle trasformazioni politiche, dei cambiamenti economici e culturali delle società e del mondo che ci era contemporaneo. Il revival del marxismo dei primi anni Settanta aveva un carattere profondamente diverso dalla koiné storicistica dominante nel contesto della costruzione della Biblioteca. E la sua intensità era inversamente proporzionale alla sua durevolezza nel tempo. La convinzione fondamentale dei tempi della Biblioteca era sotto pressione ed era destinata a indebolirsi e dissiparsi nel paesaggio culturale della metà dei Settanta.
Per questo, la massima intellettuale era e restava quella della libertà intellettuale e della fedeltà al rigore scientifico. E non era, in fondo, difficile cogliere il segno della continuità e della tradizione di un istituto “libero e scientifico” e, al tempo stesso, la discontinuità e l’innovazione nell’ambito dei metodi e dei saperi della società.
Alla metà degli anni Settanta, in virtù del retaggio, questa era esattamente la posta in gioco: il corpus dei saperi della società doveva essere sottoposto alla verifica dei poteri e delle pretese di validità. In linea di principio, nessun tipo di sapere della società poteva essere immunizzato rispetto all’esercizio della critica e dell’inchiesta. E anche in questo, non era così difficile cogliere un altro tratto inconfondibile che stava all’origine del progetto di Feltrinelli, un altro indizio di prossimità: un certo stile illuministico, cui era ed è bene restare fedeli nel tempo e, soprattutto, come sappiamo, in tempi mutati e difficili, in tempi di romanticismo politico, di tribalismo e fondamentalismo. In ogni caso, lo stile illuministico e il libero esercizio della critica rendevano conto dell’inquietudine persistente che accompagnava e caratterizzava i progetti di ricerca fra metà anni Settanta e metà anni Novanta.
Si apriva in questo modo quello spazio di autonomia della ricerca che Giangiacomo Feltrinelli aveva rivendicato nei primi anni Sessanta. E lo spazio di autonomia acquisiva un rilievo crescente nelle trasformazioni dei rapporti fra sistema politico e società e nei cambiamenti della sfera della discussione pubblica. Il primo gesto di teoria, si diceva, doveva essere un gesto di autonomia rispetto agli obiettivi di breve termine della politica. Ma, ancora una volta, non si trattava di un gesto di rifiuto o indifferenza nei confronti delle cose politiche e sociali. Al contrario, l’autonomia del fare teoria mirava alla migliore comprensione e spiegazione delle trasformazioni sociali. E non rinunciava al confronto sui criteri del giudizio politico, alla ricerca di un grappolo di valori che consentisse, in tempi mutati, di mantenere lealtà al retaggio.
La storia della nuova Fondazione a Porta Volta è letteralmente un’altra storia. Ma ha radici lontane. E non è difficile prevedere che, in tempi difficili e incerti, sarà alimentata non dal mitico vento della storia, ma dalla voglia di futuro, da un’idea elementare di giustizia sociale e di sviluppo umano come libertà, da uno stile illuministico e dall’inquietudine che ne consegue.
Salvatore Veca
Presidente onorario
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Guarda la Photogallery
Di seguito, guarda la photogallery dedicata alla storia di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, da via Scarlatti e via Romagnosi, fino ad arrivare oggi, in viale Pasubio:
Consigli di lettura
GIANGIACOMO FELTRINELLI. IL PROGETTO E L’INQUIETUDINE
DI SALVATORE VECA
L’idea di fondo era questa: mettere alla prova il repertorio di idee e di categorie ereditato, con paradigmi diversi e a volte radicalmente alternativi, avendo come scopo la migliore comprensione dei mutamenti sociali e delle trasformazioni politiche, dei cambiamenti economici e culturali delle società e del mondo contemporaneo.
Salvatore Veca dall’introduzione all’annale della Fondazione La Biblioteca Istituto Feltrinelli. Progetto e storia
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