“Ci hanno privatizzato le piazze” disse una ricercatrice durante un incontro nella sede storica della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in via Romagnosi. Eravamo una dozzina attorno ai tavoli usati abitualmente per consultare carte d’archivio e libri storici e allora destinati ad accogliere un workshop sulle nuove economie collaborative. Stavamo provando a immaginare uno dei tasselli che avrebbero potuto animare la nuova sede di Viale Pasubio e quello fu l’intervento più politico, l’analisi di un bisogno condiviso da molti, e da altri visto con il rammarico del tempo che passa e che ci consegna a involuzioni tristi quanto inevitabili.
Il periodo tra il secondo dopoguerra e gli anni 2000 ha destinato le piazze, si disse quel giorno, a ragioni private, cambiandone la vocazione: da luoghi di lotta, di socialità e di pensiero a corridoi di passaggio tra un cartellone pubblicitario e un altro. Ma ha fatto anche di più: ha modificato gli animi dei suoi abitanti.
Quei cittadini, soprattutto giovani, che un tempo animavano le piazze fino a renderle un fattore perpetuo di cambiamento, oggi invece sono soli, distanti, distratti: si è persa la dimensione collettiva.
Quel bene primario che è lo stare insieme, condividere un destino, investire energie non solo per l’affermazione del singolo ma per una dimensione più allargata di benessere e qualità di vita, che la piazza metaforicamente rappresenta, oggi è sbiadito o forse svanito.
Mancano i luoghi nei quali è consentito il confronto senza che questo passi immediatamente ad essere esibizione di sé. Mancano dinamiche di confronto ampio, duro, sincero che diano il senso della costruzione collettiva di futuro.
Nel corso di questi decenni la rincorsa al tempo sempre più breve e alla conoscenza sempre più visiva, facile, emotiva hanno stravolto le dimensioni dello stare insieme. Tuttavia è anche vero che sono molte le reazioni spontanee dal basso che provano a ridare fiducia alla forza della collettività e una forma diversa al cambiamento.
Si va dagli esempi estremi di nuove comunità autogestite che ignorano il progresso e si escludono dal resto del mondo per proteggere le nuove generazioni, agli esempi opposti dei fenomeni di massa legati alle economie collaborative, nuove e moderne forme di baratto hi tech, fino alle forme urbane di condivisione degli spazi per dare il via a nuove imprese o idee di impresa.
Ma un coworking spesso esprime condivisione di spazi, non di idee. Ciascuno davanti al proprio pc, si lavora, si progetta, si prova ad uscire dagli schemi del posto fisso ma in una dimensione di autonomia accentuata, di percorso di sopravvivenza che guarda al sé e non al noi.
Siamo partiti da qui per elaborare un nuovo modello di Istituzione culturale che guardi a quanto creato nei settant’anni di attività che la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha alle sue spalle ma che si confronti allo stesso tempo con il mondo contemporaneo, lo sappia intercettare e portare a Milano. Uno spazio inedito che si apra a tutto quanto non sia solo ricerca ed elaborazione ma anche azione, arte, narrazione per divenire, nella complessità della sua offerta, un luogo dinamico, in movimento, come l’autentica dimensione di cittadinanza dovrebbe essere.
Uno spazio collettivo costruito sulla base del principio che essere cittadini Significa conoscere e partecipare, non desistere dall’idea che si possono cambiare le cose. Uno spazio che guardi alle grandi criticità della società contemporanea in modo attivo, propositivo, sviluppando occasioni di confronto che siano in grado di dialogare ed essere comprese da tutti.
Qualcosa che arrivi ad essere disarmante per innovazione e radicale per concretezza: non un lieu de mémoire ma un atelier de projet.
Il nostro dna è scritto nei nostri libri e nei nostri archivi e nello scopo con il quale il fondatore Giangiacomo Feltrinelli ha iniziato quasi settant’anni fa a collezionarli: dare eguale dignità a tutti i protagonisti della storia, agli operai, ai rivoluzionari, ai contadini, ai sindacalisti, come agli statisti, agli ideologi, ai grandi pensatori. Le nostre finalità sono molto semplici: aprire nuove opportunità di conoscenza e creare nuove occasioni di lavoro, di parola, d’impegno.
Fare dell’insieme delle nostre iniziative un fattore di politica partecipata è la nostra ambizione. La sfida più grande che ci troviamo davanti, a partire dal prossimo 13 dicembre.
Massimiliano Tarantino
Segretario Generale Fondazione Giangiacomo Feltrinelli