Instituto de Historia Contemporanea Universida Nova de Lisboa

Il giorno dopo la sua vittoria elettorale l’alcaldessa (sindaca) è a un picchetto antisfratto in difesa di una famiglia povera. Prima i diritti sociali e il contrasto alle disuguaglianze. Sí, se puede. L’istantea di lei seduta a terra con altri attivisti descrive al meglio Ada Colau, chi è e le ragioni per cui ha trionfato, a sorpresa, nella sua Barcellona con una lista civica nata dal basso: Barcelona en Comú.

barcelona en comu

 

“La politica è un impulso sociale intento a migliorare le nostre condizioni di vita, penso sia l’aspetto più nobile che possa caratterizzare un essere umano, insieme alla cultura e all’arte”. Colau spiega così la sua militanza. Ha la politica nel dna. Sente le ingiustizie, le vive, le capta e si batte per contrastarle. Da sempre è nei movimenti. È nata nel 1974, proviene da una famiglia umile, e si è formata con la Piattaforma delle vittime dei mutui (Pah, Plataforma de Afectados por la Hipoteca), l’organizzazione che l’ha formata politicamente.

Nel 2011 attraversa, come leader, le piazze degli Indignados, un movimiento che fa da spartiacque riuscendo a politicizzare la crisi spagnola e individuando i responsabili nell’un per cento della popolazione (la cosiddetta Casta, composta da politici e banchieri). Gli Indignados aprono crepe nel sistema politico nato con la transizione dalla dittatura franchista alla democrazia di fine anni Settanta: Que se vayan todos è il grido intonato.

Oltre a quella nazionale rappresentata da Podemos, una di queste crepe è quella in ambito comunale. Dal maggio 2015, Madrid, Barcellona, Valencia, Saragozza, ma anche Cadice, La Coruña, Santiago de Compostela, Pamplona e Badalona, sono governate da delle liste civiche nate dal basso: esperienze municipaliste, frutto della confluenza tra movimenti sociali e partiti di sinistra (da Podemos a Izquierda Unida, Iniciativa per Catalunya Verds, Equo, ecc.), i cui pilastri sono la partecipazione della cittadinanza, i beni comuni e la trasparenza. Progetti politici che rispondono con le eterogenee dinamiche del bottom up alla logica omogeneizzante del top down.

“Il mutualismo e il radicamento sui territori – spiega Colau – sono l’unico modo per rispondere all’impoverimento generale e all’enorme disuguaglianza. Ed io vengo da lì. Ero stanca sia dei classici partiti di sinistra che dei movimenti sociali autoreferenziali e gruppettari, con i loro linguaggi incomprensibili. Quando abbiamo fondato la Pah il mio obiettivo era incidere nella società, cambiarla veramente, e per farlo sei obbligato a relazionarti con la massa, ovvero anche con persone che si definiscono né di destra né di sinistra, senza una forte ideologia o conoscenza del passato”.

Seppur mass media e poteri forti abbiano attaccato duramente progetti come quello guidato da Ada Colau, avvisando della loro inesperienza nella gestione della cosa pubblica ed enfatizzando qualunque problema di politica comunale per tentare di affossare queste esperienze municipaliste, questo primo anno al governo, con le sue immancabili difficoltà e le ovvie differenze tra una città e un’altra, ha dimostrato esattamente il contrario. C’è ancora molto da fare, questo è certo, ma il bilancio è più che soddisfacente e lascia ben sperare.

Dopo i primi dodici mesi al governo, a Barcellona è aumentata la fiducia della cittadinanza nei confronti della nuova giunta: un dato che dimostra come si stia facendo molto e bene, pur governando in minoranza. Secondo uno studio di Critic, nei primi 120 giorni alla guida della metropoli catalana Colau aveva già avviato il 60% del suo programma. Dalla lotta contro le disuguaglianze, che sono aumentate esponenzialmente dal 2007 in tutta la Spagna, alla trasparenza, con un codice etico che limita gli stipendi degli eletti e rende disponibili on line i bilanci del Comune, passando per processi partecipativi, presenziali e via web, come decidim.Barcelona a cui hanno partecipato 40mila persone con oltre 10mila proposte, il 70% delle quali sono state accettate nel Programa de Actuación Municipal del prossimo triennio. Si è lavorato su molti fronti: dal problema della casa – particolarmente sentito in un paese che ha sofferto la bolla immobiliare con oltre 500.000 famiglia sfrattate e indebitate a vita –, ampliando il numero degli alloggi sociali e approvando sanzioni alle banche che non cedono gli appartamenti sfitti, alla vexata quaestio del turismo, per limitare la gentrificazione sofferta dal centro città, fino alle dure trattative per rimunicipalizzare servizi pubblici che erano state privatizzati, come l’acqua.

Si dimostra come, in un’epoca di profondo discredito della politica e di nuovo auge dei nazionalismi xenofobi, lavorare a livello locale permette di riavvicinare le persone alla cosa pubblica, rendendole protagoniste dei problemi che le toccano da vicino. Ciò non significa però isolarsi rispetto a un mondo ormai globalizzato, tutt’altro. L’esperienza di Barcellona è, anche in questo, illuminante con progetti come quello delle “città rifugio” o della rete europea delle “città in comune” che sono stati accolti positivamente anche in Italia, con i legami instaurati con i comuni di Lampedusa o di Napoli. Tessere una tela, creare una rete dal basso tra molte città per cambiare non solo il locale, ma anche il globale, a partire da questa nostra Europa che si trova sull’orlo dell’abisso. Dalle città è iniziato il cambiamento in Spagna. Dalle città, forse, può iniziare il cambiamento in Europa.

Steven Forti
Instituto de Historia Contemporanea
Universida Nova de Lisboa

Giacomo Russo Spena
MicroMega

 

 

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