L’11 settembre 2016 si è tenuta a Barcellona la manifestazione per celebrare la festa nazionale catalana, la “Diada”, la giornata per antonomasia. La data ricorda la caduta di Barcellona, dopo un lungo assedio, sotto il controllo del re Filippo V di Borbone nel 1714, nel corso della guerra di successione spagnola.
Da allora è sempre stata una ricorrenza molto sentita, che chiama in causa i nodi irrisolti del particolare processo di costruzione dello stato nazionale spagnolo e della compresenza di identità locali particolarmente forti, radicate, dotate di una loro lingua, di una loro storia, di un loro immaginario comunitario, come avviene appunto in Catalogna.
L’autonomismo è in Spagna un fiume carsico che riaffiora con forza mettendo in discussione il rapporto tra il centro e le periferie, specie quando il paese attraversa processi di crisi, come durante la guerra civile (1936-1939) o in occasione dell’attuale transizione che caratterizza la democrazia rappresentativa iberica.
L’affermazione di Podemos ha infatti posto fine al sistema politico bipolare su cui si è articolata la dialettica pubblica dalla fine del regime franchista in poi e la critica radicale di questo partito-movimento, in un contesto di crisi economica e sociale, si è sommata al rafforzamento delle istanze autonomiste, rafforzamento del quale le spinte dal basso verso l’indipendenza della Catalogna rappresentano il più evidente fenomeno.
Quest’anno la “Diada” ha avuto un sapore particolare. Non solo perché il governo regionale catalano (Generalitat) è nelle mani di una maggioranza che riunisce forze di vario colore tenute assieme dalla prospettiva dell’indipendenza. Ma soprattutto perché quest’anno si è celebrato il XL anniversario della “Diada” del 1976, la prima che i catalani hanno potuto festeggiare grazie alla caduta della dittatura franchista. Per l’occasione si è assistito alla convergenza tra le forze della sinistra catalanista: dalla sezione regionale di Podemos (En Comú Podem), alla sinistra repubblicana dell’Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), alla sinistra anticapitalista della CUP (Candidatura d’Unitat Popular). Queste forze hanno invitato congiuntamente a manifestare in ricordo di Jordi Carbonell, punto di riferimento della sinistra nazionalista catalana recentemente scomparso.
Tra le 800 mila persone che l’11 settembre hanno animato la “Diada” nelle principali città catalane c’era anche l’attuale presidente della Generalitat, il democristiano Puigdemont. La stampa spagnola ha sottolineato che è la prima volta che il rappresentante più autorevole del governo locale partecipa a una marcia sovranista, lanciando così una sfida alle istituzioni dello stato centrale.
Tra le formazioni dell’indipendentismo catalano i disaccordi restano molti e l’afflato indipendentista rappresenta l’unico collante, ma è un collante potente. Soprattutto se raffrontato al quadro di frantumazione che offre la politica spagnola a livello di stato centrale, con l’incapacità di trovare un nuovo equilibrio per dar vita ad un nuovo esecutivo.
Mentre nella galassia indipendentista è sempre più determinante il peso delle componenti che si basano su una narrazione progressista (come ERC e CUP), restano sul piatto le divisioni circa le strategie da adottare per ottenere l’indipendenza: tramite un referendum unilaterale che verrebbe considerato illegale da Madrid? Tramite nuove elezioni, che si pretenderebbero costituenti? Su questo quesito sempre più stringente si giocherà il futuro di un governo locale sempre più dipendente dai voti determinanti delle frange più radicali e di sinistra del catalanismo ma soprattutto si giocherà il futuro della Spagna.
Le ultime elezioni politiche hanno confermato la distanza, in termini di risultati elettorali, tra la Catalogna (dove l’affermazione di Podemos è superiore alla media nazionale) e il cuore castigliano del paese, che resta maggiormente ancorato alle forze tradizionali, con l’eccezione di Madrid.
Un ulteriore elemento che gioca a favore della frammentazione del contesto politico e che rende la transizione che attraversa la democrazia rappresentativa in Spagna sempre più complessa.
Spartaco Puttini
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
15/09/2016
Approfondimenti
Dal patrimonio archivistico e bibliografico di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Su questo tema, nell’ambito dell’asta online pubblicata all’inizio di questa settimana, la Fondazione propone oggi un manifesto del 1976 a favore della democrazia. I fondi raccolti serviranno a finanziare le iniziative sulle attività di ricerca, divulgazione e didattica previste per il 2017, in particolare quelle dell’Osservatorio sulla Democrazia diretto da Nadia Urbinati.
Manifesto a favore della democrazia in Spagna (1976):
Tra il 1975 e il 1979, la Spagna vive la transizione politica dalla dittatura franchista all’adozione di un regime democratico nel quadro della monarchia parlamentare. La solidarietà delle forze democratiche italiane per la libertà del popolo spagnolo è sempre stata storicamente forte: dall’impegno nella guerra civile a fianco della repubblica nel 1936-39, alle mobilitazioni per denunciare i crimini della dittatura fino alla fine della transizione democratica. Il manifesto evoca l’immagine di un campo di garofani, richiamando così alla mente la rivoluzione portoghese che qualche anno prima aveva rovesciato il più duraturo regime fascista d’Europa.
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