Università di Roma “La Sapienza”

L’incidente ferroviario di Andria, in cui ventitré passeggeri di ogni età hanno lasciato orribilmente la vita e i brandelli dei loro corpi dentro due treni locali viaggianti in direzione opposta e, scontratisi su un binario unico regolato da sistema di sicurezza manuale, a tre settimane dall’accaduto, ha la sua spiegazione e la sua certa risoluzione in ambito giudiziario: un errore umano, specificamente colpevole, dei capostazione responsabili della circolazione di treni.

L’errore umano nel caso in specie è circostanza rara ma possibile. Poteva – potrebbe ancora – capitare ovunque il traffico si svolga con le stesse modalità nei molti chilometri della rete ferroviaria italiana: 16.726, di cui ben 9151 a binario unico e 4783, distribuiti su tutto il territorio nazionale non ancora elettrificati e a trazione diesel, dunque con treni privi di blocco automatico.

Pur ricordando che il sistema ferroviario italiano è tra i più sicuri d’Europa per incidenti e che il binario unico è abbondantemente presente anche nei paesi tecnologicamente più avanzati laddove il traffico non muova più di 80 treni al giorno, molti quesiti urgono e non solo a proposito delle reti locali, che in Italia sono governare sia da Rete Ferrovie Italiane, sia dalle regioni o in concessione a società private, come nel caso della tratta dell’incidente.

Due domande si impongono preliminarmente. Le condizioni di sicurezza per i viaggiatori possono ancora oggi, con le tecnologie esistenti e di facilissima applicazione, essere affidate alla mano e al colore della paletta di un capostazione? Nel partecipare costruttivamente o più spesso per antagonismo alle decisioni riguardanti i percorsi ferroviari e le modalità di esercizio, istituzioni pubbliche o private, nazionali o territoriali, nonché i cittadini dei luoghi interessati, hanno mostrato consapevolezza dell’urgenza delle scelte nel segno dell’interesse comune e con visione del futuro?

La risposta al primo quesito non può che essere negativa. Il sistema di blocco automatico e l’elettrificazione dovrebbero essere condizione del funzionamento stesso del servizio, a maggior ragione per una linea ad altissimo traffico come la Bari-Barletta, 70 km di ferrovia in capo alla Regione Puglia, in concessione alla Ferrotramviaria spa, già elettrificata e per 33 km a doppio binario e dal 2013 collegata direttamente con l’aeroporto, circostanza ancora riservata a poche stazioni ferroviarie italiane. Proprio per questa evidenza e urgenza il progetto, il bando per il raddoppio del binario, e gli stanziamenti di 33 milioni di fondi europei e regionali per i 13 km della tratta Corato-Andria sono attivi da anni ma si sono incastrati nell’esecuzione degli espropri, nella discussione pubblica sul tracciato, nei vincoli europei e nazionali ai bilanci pubblici, vincoli notoriamente ostili al cofinanziamento. In attesa del raddoppio non si è pensato a potenziare la sicurezza dei modernissimi treni in funzione su una antica e ormai inadeguata linea.

Quanto al secondo quesito, faccio notare che l’incidente è avvenuto in Puglia, non nella regione più arretrata del sistema regionale di trasporto meridionale, ma in quella forse più attiva, indicando la necessità di maggiore velocità, lungimiranza e responsabilità, nelle scelte di tutti gli attori in diversa misura coinvolti, dalla burocrazia europea, alle istituzioni nazionali, regionali e locali, ai gestori delle regole della sicurezza – divise tra competenze RFI e competenze regionali – all’ultimo cittadino pugliese.

Molte voci si sono levate a sostegno di maggiori investimenti nel Sud, per la sicurezza e l’efficienza sia delle reti nazionali che di  quelle regionali e locali. Nel cuore di un incidente che esula sostanzialmente da logiche e spiegazioni territoriali, tali voci hanno assunto talora una parvenza di inopportunità e quasi di strumentalità. Ho io stessa più volte e con forza denunciato la debolezza del sistema di trasporti ferroviari italiano per il suo carattere non sistemico, per la concentrazione pressoché totale degli investimenti di RFI in alta velocità solo nella parte centrosettentrionale del territorio, con confine a Sud a Napoli e presto – si spera almeno – anche a Bari, grazie alla capacità della Regione Puglia di imporre la sua presenza nel core del Trans European Network dei grandi corridoi multimodali (altre regioni meridionali non hanno presidiato le sedi internazionali con progetti cantierabili); per il taglio vistoso di spesa e servizi ferroviari nelle regioni meridionali, ormai oggettivamente “fuori dal sistema” sia ad alta velocità che ad alta capacità.  Ho ricordato più volte come la logica “dualistica” che ha caratterizzato i recenti sviluppi del sistema ferroviario italiano sia non solo irrazionale ma anche iniqua riguardo al diritto dei cittadini alla mobilità e ai suoi costi.

Andria propone urgenze di varia natura e non direttamente legate alle strategie e politiche territoriali. Ma è giusto aggiungere che se il binario doppio riguarda oggi solo il 24% e l’elettrificazione solo il 28% delle reti ferroviarie del Sud (dove la domanda di mobilità è elevatissima!) si pone un urgente problema non solo di investimenti ferroviari innovativi nel Sud, ma anche di prevenzione di maggiore probabilità di altri “errori umani”.

Leandra D’Antone
Università di Roma “La Sapienza”

03/08/2016


Conosci l’autrice

Foto 7Leandra D’Antone, Professore Senior di Storia contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”. Tra le pubblicazioni: La rete possibile. I trasporti meridionali tra storia, progetti e polemiche, a sua cura, Donzelli 2004; Senza pedaggio. Storia dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, Donzelli 2008; L’Iri da ente transitorio a ente permanente e L’architettura di Beneduce e Menichella in Storia dell’Iri, vol. I, a cura di V.Castronovo, Laterza, 2013; Alberto Beneduce e il valore morale del risparmio, in Imprese e storia , n. 42, Egea, 2014; Le università meridionali in prospettiva storica (con D.Miotti), in Rapporto RES 2015, Università in declino, a cura di G.Viesti, Donzelli 2016.

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