Esiste una scienza fuori dall’accademia? Esiste una ricerca storiografica fuori dagli archivi? La rivoluzione digitale non ha cambiato solo il modo in cui otteniamo informazioni, in cui lavoriamo, in cui viviamo o in cui facciamo politica. Ha cambiato, e in modo profondo, il modo in cui facciamo scienza. La conoscenza orizzontale consentita da internet ha permesso ad attori finora non ufficialmente qualificati (o non qualificati del tutto) di entrare nei processi di produzione ufficiale della conoscenza. In altre parole, l’accademia non è più e non è il solo luogo in cui si fa ricerca. La scienza si è diffusa, “democratizzata” direbbero alcuni: è la “scienza dei cittadini”, la citizen science.
Come spesso accade, sono state le scienze dure ad aprire la strada, per una ragione apparentemente molto pratica. La tecnologia attuale, e in particolare internet, mette a disposizione dei ricercatori una quantità enorme di dati. Questa mole di dati deve essere ripulita, sgrassata di tutte quelle informazioni che non servono per la ricerca: un compito enorme, che sottrae tempo prezioso all’accademico costretto nella morsa di scarsi finanziamenti e pressione per la pubblicazione su riviste scientifiche. Ecco, quindi, che dalla metà degli anni ’90 si è iniziato a chiedere aiuto al pubblico, per alleggerire il lavoro agli scienziati di professione. Invero, la partecipazione pubblica e dilettantistica alla scienza ha radici più profonde.
Si pensi, ad esempio, alla grande comunità degli astrofili: operai, impiegati, casalinghe, dirigenti d’azienda che, sin dai primi decenni dell’Ottocento, dismettono i panni “civili” e, tornati a casa la sera, si mettono ad osservare il cielo – talvolta aiutando in maniera fondamentale gli esiti della ricerca accademica, come grazie al famoso Galaxy Zoo. Attualmente, stiamo assistendo ad un’esplosione di citizen science, soprattutto in ambito naturalistico (ad esempio con il progetto di catalogazione fotografica Zooniverse) e biologico (si pensi al movimento, con connotazioni anche politiche, dei bio-hacker). Con la digitalizzazione degli archivi, la citizen science sta arrivando anche nelle scienze umanistiche, come ben descrive Geoffrey Belknap, storico dell’Università di Leicester, sul Guardian: “i metodi della citizen science si stanno adesso diffondendo anche nei progetti umanistici. La “citizen humanities” sta aprendo al pubblico gli enormi archivi della storia. Una [prima] implicazione di questo sviluppo è: chi può definirsi, oggi, un esperto? Cosa significa essere un esperto? Per l’accademia, un professionista/esperto è chiunque sia pagato da un’istituzione, per fare ricerca”.
La questione, però, è estremamente più complicata, soprattutto oggi che la produzione di conoscenza scientifica è diventata globale e altamente competitiva. Charles Darwin aveva un abbozzo di formazione medica (solo due anni a Edimburgo), la sua expertise di naturalista poggiava su due fattori: l’esperienza sul campo e la corrispondenza attraverso le pagine del Gardener’s Chronicle con altri naturalisti. Insomma, non era una formazione accademica. Continua Belknap: “se le torri d’avorio dell’accademia si sarebbero chiuse attorno ai concetti di professionalizzazione ed expertise [della ricerca] nell’ultimo secolo e mezzo, il potenziale delle nuove comunità digitali ci permette di iniziare a chiedere cosa significhi partecipare [oggi] alla produzione della conoscenza“. Il primo tentativo di creare un “Gardener’s Chronicle” per appassionati delle scienze umanistiche, sottolinea Belknap, è il sito sciencegossip.org, dove gli utenti (qualsiasi utente, con qualsiasi tipo di formazione) può catalogare immagini naturalistiche del XIX secolo. È un piccolo progetto, ancora legato al concetto di aiuto materiale (e poco intellettuale) alla ricerca, ma internet ci ha già dimostrato la velocità esponenziale con cui si diffondono le innovazioni. “Mentre l’attuale infrastruttura di citizen science/humanities è ancora costruita attorno alle strutture dell’accademia tradizionale, col tempo, l’interesse e [la costruzione di] comunità in cui condividere le idee, è probabile che queste [stesse] strutture cambieranno” conclude Belknap, “mentre questo, si spera, non significherà la fine dello storico di professione, potrà forse significare che dobbiamo rivedere il concetto di esperto”.
Giacomo Destro
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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