L’avventura della Carta di Milano è cominciata nel dicembre del 2014, in via Rovello, a partire dal Tavolo di coordinamento presieduto dal Ministro Maurizio Martina. È proseguita con una serie di riunioni del Tavolo, intervallate da importanti eventi pubblici a proposito della Expo delle idee, quali quello del 7 febbraio 2015 all’Hangar Bicocca a Milano con l’apporto dei contributi dei quarantadue tavoli tematici, e da riunioni più ampie di discussione e verifica dell’elaborazione della Carta quale quella del 28 marzo 2015, a Palazzo Vecchio a Firenze. Versioni provvisorie della Carta sono state illustrate, esaminate e discusse in costante interlocuzione con la Fao e con i Ministeri e le Commissioni competenti. L’intero processo di elaborazione della Carta è attestato dalla ricchezza dei suoi numerosi allegati, in cui si rinvengono tutte le tessere del mosaico.
La Carta, legacy immateriale di Expo 2015, è un documento di global citizenship che, muovendo dalla convinzione secondo cui il diritto al cibo è un diritto umano fondamentale, chiede un’assunzione di responsabilità condivisa nei confronti degli impegni per l’obiettivo di un mondo senza fame. Impegni che coinvolgono donne e uomini, cittadini di questo pianeta, la società civile, le imprese e che chiamano in causa la responsabilità delle istituzioni, dai livelli nazionali al livello internazionale e transnazionale. Questo è il nostro assioma: siamo convinte e convinti che il diritto al cibo sia un diritto umano fondamentale e riteniamo che un mondo senza fame sia un mondo possibile. Ogni violazione di tale diritto fondamentale è una violazione della eguale dignità umana. Di chiunque, ovunque. Questo è il teorema fondamentale della Carta.
Lasciatemi esporre ora alcuni commenti personali e stenografici al testo, tenendo presente che la Carta di Milano esemplifica – inter alia – il fatto fondamentale che Expo 2015 è una vera e propria prova generale del futuro del pianeta, all’insegna dell’equità e della sostenibilità.
Dignità e diritto umano fondamentale al cibo per chiunque, ovunque. Questo, come sappiamo dalla Legge fondamentale tedesca e dalla nostra Costituzione, è genuino lessico costituzionale, è al centro della Carta dei diritti fondamentali di Nizza ed è al centro della road to dignity, tratteggiata dal Segretario generale delle Nazioni Unite per gli Obiettivi per uno Sviluppo sostenibile.
Metodo. Nella Carta si definisce un approccio sistemico e multidimensionale: i molti volti della sostenibilità e dell’equità. Lo considero un must metodologico, che del resto è stato alla base dei lavori di Laboratorio Expo.
Custodia. Nella Carta si esplicita il tema della custodia della terra. Qui c’è l’eco del potenziale semantico delle religioni e non solo delle religioni di salvezza. Possiamo pensare al Genesi, alla predicazione di Gesù nel Nuovo Testamento, al sermone di Nazareth di Luca su Isaia, alle sure del Corano. All’etica della compassione buddhista. Alla visione dell’Atman induista. Al teismo di Voltaire e alla celebre preghiera “dal Siam alla California” o al dio di Spinoza di Albert Einstein.
Giustizia globale. Amartya Sen ci ha suggerito di non dimenticare mai, nella ricerca e nel disegno di un futuro migliore per il pianeta, che la domanda centrale è: che cosa si prova a essere esseri umani?
Eguaglianza di genere. È una delle questioni globali più urgenti e cruciali, anche solo per pensare i tratti di un pianeta migliore. Nella Carta la questione ha salienza.
Infine, la domanda inevitabile ed esigente: utopia? La risposta è: sì, e perché no? Ma un’utopia realistica e situata, che prende sul serio i severi vincoli del realismo e i mutevoli confini dello spazio che il mondo ci concede.
Oscar Wilde: “Una carta del mondo che non contiene il paese dell’utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo paese al quale l’umanità approda di continuo. E quando vi getta l’ancora, la vedetta scorge un paese migliore e l’umanità di nuovo fa vela”.
Eduardo Galeano, nel suo Las palabras andantes: “L’utopia è come l’orizzonte. Cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare.”
Camminare insieme. Navigare insieme. Fare vela insieme, come ci suggerisce l’aforisma di Wilde, adottando, per definire e aggiustare la rotta, gli occhi del resto dell’umanità. Per fare insieme futuro sostenibile, più equo e meno ingiusto. In tempi difficili, nella gran città del genere umano. Questo, a me sembra, ci dice e dice al mondo la Carta di Milano.
Estratto dal discorso di presentazione della Carta di Milano, contenuto nell’ebook “Laboratorio Expo. Un diario di bordo” di Salvatore Veca.
Salvatore Veca
Coordinatore scientifico della Carta di Milano, curatore scientifico di Laboratorio Expo
05/05/2016