Giornalista freelance

Per capire l’importanza del centenario della Repubblica di Turchia è necessario partire da due figure: Atatürk ed Erdoğan. Due personalità politiche, del passato e del presente, simbolo del paese della Mezzaluna. Il primo, emblema di una Turchia che guarda all’Occidente e laica, impresso nella memoria storica come fondatore della moderna Repubblica turca. A lui è legato indissolubilmente il concetto di “modernità turca”, di laicità e secolarismo. Il secondo, ormai da vent’anni, è alla guida del paese ed il suo nome campeggia negli articoli della stampa mondiale, sia per una autoritaria politica interna che per una pragmatica politica internazionale. In Erdoğan si sintetizza un concetto che, almeno apparentemente, non si discosta molto da Atatürk: “modernità turca islamica”.

Indubbiamente, Recep Tayyip Erdoğan è diventato il più importante politico turco dai tempi di Atatürk e nutre – da sempre – l’ambizione di diventare il più grande di tutti, vedendo le prossime elezioni – in programma il 14 maggio – come il raggiungimento di questo prestigioso obiettivo.

L’ambizione di Erdoğan non è nuova, né tanto meno sconosciuta al suo popolo. Basta vedere come è cambiata la Turchia negli ultimi vent’anni per capire quanto le sue manie di grandezza siano smisurate e difficili da arginare. È sufficiente passeggiare a Galataport, moderno complesso commerciale e turistico inaugurato nel 2021 oppure andare al nuovo Teatro dell’Opera a Piazza Taksim – costruito sulle ceneri del Centro culturale Atatürk – per rendersi conto quanto il suo desiderio di dare luce a uno stato ultramoderno, capace di attrarre investimenti esteri, e  simbolicamente pieno di monumenti che aiutino a ricordare il ventennio appena passato siano tra le sue priorità.  In questo quadro di intenti, Istanbul è il suo biglietto da visita. Qui si concentrano numerosi progetti voluti fortemente dall’AKP e che vedono il centro città come uno spazio unicamente dedito al consumo e dove i luoghi pubblici sono rigorosamente controllati. Si dà una connotazione politica anche al tipo di architettura presente, tanto da farla diventare un marchio che serve a pubblicizzare lo spazio pubblico.

Le parole d’ordine sono: consumo, merce, turismo, rimanendo sempre legati ai valori islamico-conservatori della Turchia

La sua volontà di innovazione e di apportare cambiamenti significativi, sia da un punto di vista infrastrutturale che sociale e culturale, è un tema che ho trattato ampiamente nel mio volume, L’oro della Turchia. Si può discutere molto sugli effetti delle politiche neoliberiste di Erdoğan ma alcuni sono indiscutibili e – oggi – sotto gli occhi di tutti: la Turchia negli ultimi vent’anni ha cambiato volto; le grandi città sono metropoli moderne e sempre più polarizzate a causa dell’aumento del divario tra ricchi e poveri; le classificazioni, le gerarchie, le distinzioni sociali – evidenti nella vita cittadina di tutti i giorni – sono esplose. A prescindere dal risultato delle elezioni, oggi per nulla scontato, il 2023 è un anno legato inevitabilmente a queste due figure:

Due opposti – nei loro valori di riferimento – che si toccano e si fondono proprio nel concetto di modernità, da entrambi fortemente anelato.

Così come Atatürk, anche Erdoğan ha capito fin da subito che il suo potere e l’eredità del suo impero passavano e passano innanzitutto attraverso le trasformazioni fisiche concentrate nelle due capitali del paese, in quella economica e in quella politica, Istanbul e Ankara. Mustafa Kemal prima e Erdoğan dopo hanno compreso come fosse necessario riformare la città per arrivare a riformare la società: il cambiamento dell’assetto urbano di una metropoli comporta inevitabilmente il mutamento dei modi di vita e delle abitudini dei suoi cittadini. In questo senso sono stati entrambi due grandi innovatori. L’innovazione tanto agognata da Atatürk era dimostrata anche dalla decisione di proclamare Ankara la capitale dello Stato. Oltre alle note ragioni storiche, c’è n’è una che rende oggi Atatürk molto vicino ad Erdoğan: a quel tempo Ankara era ancora una città di provincia, di appena 30 mila abitanti, e offriva la possibilità di essere profondamente trasformata – secondo moderni princìpi urbanistici – in una capitale che, con i suoi edifici di cemento armato e le sue ampie strade asfaltate, non si sarebbe differenziata affatto da una metropoli europea occidentale. A questo scopo, Atatürk aveva chiamato architetti soprattutto dall’Europa. Voleva un volto moderno, senza riferimenti all’architettura ottomana tradizionale. Un esempio concreto di tale volontà è il mausoleo di Atatürk, ispirato con la sua sobrietà ai modelli occidentali.

Atatürk morì il 10 novembre del 1938. Ancora oggi, alle 9:05 (ora esatta del suo decesso) di questo giorno suona in tutto il paese una sirena e per un minuto tutti i cittadini si fermano, in un profondo raccoglimento, per ricordare il padre fondatore della Repubblica turca. Chi guida, scende dalla macchina e rimane, in piedi, immobile; chi cammina si ferma, e compito abbassa lo sguardo; chi si trova dentro gli uffici, blocca qualsiasi attività; tutto il paese rimane in silenzio, quasi in apnea, per un lunghissimo minuto. All’interno del Palazzo Dolmabahçe, a Istanbul, la stanza dove è morto il primo Presidente della Turchia è rimasta inalterata e sul letto di Atatürk è adagiato un enorme copriletto ricamato con i colori della bandiera turca. Tutti gli orologi dell’ambiente sono stati lasciati fermi alle ore 9:05. L’ora che segna, come uno spartiacque, un prima e un dopo, indissolubilmente collegati grazie al padre della Turchia moderna.

Il 14 maggio 2023 rappresenta un altro spartiacque per il paese: potrebbe sancire la nascita di un nuovo corso politico guidato da Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito popolare repubblicano – erede del kemalismo – oppure potrebbe rappresentare simbolicamente l’incoronazione di un uomo ormai solo al comando, Recep tayyip Erdoğan.

Da una parte, si intravede un nuovo corso politico con il ritorno al parlamentarismo; l’allargamento della rappresentanza politica e il ritorno della Turchia verso maggiori standard democratici. Dall’altra, sempre maggiori investimenti nel settore della difesa; con l’intenzione di espandere a macchia d’olio la propria influenza al di fuori dei confini nazionali. Ma l’aspetto che spaventa maggiormente il popolo turco è l’economia: la crisi economica e sociale in cui versa il paese sancirà la fine del ventennio targato Recep Tayyip Erdoğan?

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