University of Warwick

Di Ken Loach come intellettuale discuteranno martedì 2 maggio l’autore di questo articolo, Giovanni De Luna e Marco Ardemagni nel primo di tre eventi organizzati dalla Fondazione Feltrinelli, Autobiografie non autorizzate.


Ventisette film di finzione, qualche documentario, moltissimi film per la televisione, una presenza costante nella cultura e politica inglese (e non solo): a quasi 87 anni Ken Loach non ha bisogno di presentazioni, è una voce ascoltata e rispettata e i suoi film sono visti e studiati.

Il prossimo, in anteprima tra qualche settimana al Festival di Cannes (dove negli anni ha vinto tutto il vincibile), sarà “probabilmente” l’ultimo: con The Old Oak Loach racconta un mondo che conosce bene, quello delle comunità working class del Nord Est dell’Inghilterra, in questo caso concentrandosi su l’unico pub rimasto in un vecchio villaggio di minatori. Dall’ultimo pensionamento annunciato (dopo Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà del 2014, ambientato in Irlanda anni ’30) Loach ha girato altri tre film e vinto una Palma d’oro a Cannes, e anche se le storie da raccontare sarebbero ancora molte, come ha detto di recente in un’intervista a Propaganda Live, “si arriva a un punto in cui bisogna rendersi conto della propria fragilità… vorrei avere ancora dieci anni”. Insomma, l’ultimo film, ma solo forse.

Cosa è stato Loach in questi quasi sessant’anni? Prima di tutto, colui che, probabilmente più e meglio di chiunque altro, ha raccontato le questioni sociali e la classe operaia inglese, seguendone le sue evoluzioni, vittorie e sconfitte, sindacati, lotte, provando a capire come cambiava il mondo del lavoro e la società britannica: minatori, lavoratori interinali, disoccupati, autisti, edili, portuali, ferrovieri, ex militari, la lista delle categorie umane raccontate da Loach è lunghissima, in film come Piovono pietre (1993) o In questo mondo libero… (2007). Loach ha poi messo in scena la storia della sinistra mondiale, non solo inglese: la guerra civile spagnola, in uno dei suoi capolavori più noti Terra e libertà (1995), il Nicaragua (La canzone di Carla, 1996), la Germania (lo sfortunato Fatherland, 1986) e naturalmente l’Irlanda. Al grande elefante nella stanza inglese – si intitola proprio Elephant il miglior film sulla questione irlandese, realizzato da Alan Clarke nel 1989 – Loach ha dedicato L’agenda nascosta (1990, sul conflitto nordirlandese), e Il vento che accarezza l’erba (2006) su guerra d’indipendenza e guerra civile irlandese. Nel raccontare queste storie “straniere” una cifra costante è quella dell’internazionalismo, della volontà di unire e connettere lotte che si svolgono in luoghi diversi con la partecipazione di militanti transnazionali, e di farlo spesso partendo ancora dal mondo che conosce bene: Terra e libertà è narrato dal punto di vista di un comunista inglese volontario nella guerra (attraverso gli occhi di sua nipote che ritrova le lettere degli anni ‘30), La canzone di Carla di un autista scozzese che incontra una militante nicaraguense. E anche le altre volte in cui si è allontanato dalla sua isola, i temi sono sempre quelli, come le organizzazioni sindacali nello statunitenseBread and Roses (2000).

A metà anni Sessanta, gli inizi di Loach sono nella televisione pubblica inglese, con una serie di film televisivi tutti concentrati sulla società del tempo. Realizza in particolare dieci episodi di The Wednesday Play, una leggendaria serie di film televisivi che ha cambiato la storia della BBC ed è stata la palestra di diversi registi (citiamo, oltre a Loach e Clarke, il poco conosciuto Peter Watkins). A voler trovare un momento simbolico è il novembre 1966, quando va in onda Cathy Come Home: la storia cruda e realista di una coppia che perde casa e figli, girata con stile innovativo – c’è appena stato il Free Cinema, che ha rivoluzionato il modo paludato di girare i film inglesi. Lo vedono milioni di persone, cambia il modo in cui si pensa agli homeless in Gran Bretagna, ha un impatto duraturo ben oltre la storia dei media. Come Kes (1969), il secondo film per il cinema dopo Poor Cow (1967), un classico del cinema inglese:

“c’è solo un Kes in una carriera artistica, una sola opera che dura e si diffonde come ha fatto Kes”, ha detto Loach di recente.

Negli anni Ottanta Loach segue le evoluzioni del cinema del suo paese – una sostanziale crisi, sia economica che di temi e idee – prima di vivere una seconda giovinezza negli anni Novanta, con Riff-Raff – Meglio perderli che trovarli (1991) e Ladybird, Ladybird (1994), oltre ai già ricordati.

I film di Loach intercettano lo spirito del tempo: intorno alle grandi proteste del movimento (impropriamente chiamato) No Global, escono film di alto impatto politico come My Name is Joe, Bread and Roses, Paul, Mick e gli altri, Sweet Sixteen. Sono film che raccontano un mondo, e che in quel mondo si inseriscono come prodotti di fruizione, proiettati in occupazioni, fabbriche, sedi di organizzazioni e partiti. Un aspetto che per Loach rimane importante, anche adesso che quel mondo è (apparentemente) in fase declinante: sia Io, Daniel Blake che Sorry We Missed You – gli ultimi due film, ancora sulla working class inglese di oggi – sono stati fatti vedere sale sindacali, pub, chiese, e ovunque fosse possibile mostrarli gratuitamente a comunità che non avevano necessariamente accesso al cinema.

Per Loach, regista e intellettuale militante, questo aspetto rimane fondamentale: far vedere il proprio lavoro, diffonderlo, discuterlo con le organizzazioni di base e le comunità che racconta. Insomma, fare cinema per provare a cambiare il mondo.


Fonte della fotografia di copertina: Ken Loach ©European Parliament.

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