«Non siamo mai stati liberi  come ai tempi dell’occupazione tedesca».

La frase è sorprendente se si considera chi la scrive, dove viene pubblicata e quando viene diffusa a stampa. L’autore è Jean-Paul Sartre; siamo nel settembre 1944; e queste parole sono la frase di apertura dell’editoriale a sua firma dal titolo La République du silence che apre il periodico “Lettres Françaises” nel settembre 1944. Parigi è libera da meno di un mese.

Jean Paul Sartre,  La République du silence, “Lettre Françaises”, settembre 1944, poi in Jean-Paul Sartre, Situations III, Gallimard, Paris 1949, pp. 11-14.

Nessuno in quel momento si scandalizzò. Se noi, a tre generazioni di distanza, ci sorprendiamo e non ci raccapezziamo è perché, forse, ci siamo dimenticati di qualcosa.

Ogni volta che si riflette sulla dinamica che segna i giorni della liberazione, dobbiamo essere consapevoli che quella scena avviene perché, nel tempo della dittatura subìta, posti davanti a un bivio, abbiamo fatto una scelta che discende da una consapevolezza: qualsiasi cosa accada domani, dipenderà da ciò che ognuno ha deciso di assumere oggi sulle proprie spalle.

«Che diritto ho io di sottrarmi al pericolo comune?», scrive Irma Marchini, casalinga nell’ultima lettera al fratello Piero, prima di essere uccisa.

 

Irma Marchiani a Piero Marchiani,
in Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana,
a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli;
prefazione di Enzo Enriques Agnoletti Einaudi, Torino 1952 , pp. 175-176

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La libertà non è un premio a punti. Per sentire l’odore della libertà occorre rompere la propria zona di confort: la propria indifferenza, si sarebbe detto un tempo.

Rifiutare l’indifferenza significa prendersi dei rischi, scoprire il potere potenzialmente rivoluzionario che ciascun essere umano esprime quando prende coscienza di essere un attore politico: capace di voce e di azione, capace di reazione e riscatto.

Per destarsi dal conformismo narcotizzante serve un gesto di rottura: disobbedire per sottrarsi a un modello educativo prono, imbevuto di propaganda, dove la testa serve per annuire e non per pensare, come scrive Emanuele Artom.

Emanuele Artom, Diari 1940-1944,
Centro di documentazione ebraica contemporanea, Milano 1966,
pp. 151-153

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Non solo. Disobbedire vuol dire non dimenticare che “tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!” come scrive Giacomo Ulivi. La prima risposta dunque è: “sono fatti miei”, si parla di me, si decide di me!”.

Giacomo Ulivi, Lettera agli amici, in Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli; prefazione di Enzo Enriques Agnoletti, Einaudi, Torino 1952, pp. 291-294.
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Il primo passo, dunque, è non stare a guardare.

Vale per tutti e per tutte. Le molte donne che scelgono di esserci sono consapevoli che quel gesto di rottura significa annullare la propria marginalità e prendersi in mano il diritto di giocare un ruolo da protagoniste nella storia.

Non è detto che la scelta di scendere in strada e prendere parte, da sola, basti. Anzi il “dopo”, probabilmente, sarà ancora una «strada in salita», come scrive Ada Marchesini Gobetti il 26 aprile 1945.

Ada Gobetti, Diario partigiano,  introduzione di Goffredo Fofi, nota di Italo Calvino, postfazione di Bianca Guidetti Serra Einaudi, Torino 2014, pp., 418-419

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Eppure quella scelta è indispensabile. Una decisione frutto di una combinazione di emozioni, incertezze, dolori, violenze che, come ci racconta Benedetta Tobagi, è di quel tempo e di questo nostro tempo, ora.

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Con Benedetta Tobagi, giornalista
ed Elena Cadamuro, storica

 

Se il fascismo, come ha scritto Giovanni De Luna, era eminentemente ordine e gerarchia, cioè stasi, inerzia, noia: la passione di libertà con cui si reagì al fascismo era iniziativa, fantasia, movimento, coraggio. La responsabilità di contribuire a un domani meno ingiusto, la volontà di essere protagonisti di un tempo nuovo.

Thomas Hobbes, un filosofo che tutti ricordano come elogiatore dell’assolutismo, fu anche come sostenitore del diritto alla rivolta dei sudditi: un diritto da agguantare quando il potere viene meno alla sua funzione di tutela. Il diritto alla rivolta non è un’acquisizione recente. Recente è la consapevolezza che serve rivendicare il diritto di avere diritti per tutte e per tutti. Per raggiungerlo non basta sapere o limitarsi a guardare. Occorre fare. Ovvero: chiudere la finestra e scendere in strada.

 

Thomas Hobbes, Leviatano,
Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 184-186

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Album fotografico tratto dal fondo Pietro Secchia, 

Insurrezione 1945, Milano, Biella, Roma

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