È proprio di questi giorni la notizia che la Francia ha ufficialmente approvato al Senato il provvedimento contro lo spreco alimentare a livello della grande distribuzione, obbligando i supermercati di grandi dimensioni a destinare alle organizzazioni caritatevoli il cibo prossimo alla data entro la quale è preferibile consumarlo. Se il caso della Francia desta particolare interesse da parte dei media, con i vicini d’oltralpe che vengono riconosciuti come il primo Paese al mondo a legiferare contro lo spreco alimentare, in realtà è bene sottolineare che non sono i soli a dare prova di prendere misure concrete per combattere una piaga, quella dello spreco di alimenti, che caratterizza tutto il globo.
Qualcosa si muove e i risultati, attesi o reali, emergono da uno scenario in cui nessuno si distingue per virtuosità ma, al contrario, tutti fanno male.
Lo spreco alimentare, infatti, si distingue per una marcata trasversalità secondo cui sprecano i Paesi ricchi e i Paesi poveri, le città e le campagne, i singoli cittadini e i colossi commerciali, ognuno facendo la sua parte e ognuno contribuendo a un fallimento ambientale, economico e sociale di portata planetaria. I numeri che lo descrivono sono, appunto, propri di un fenomeno globale, dove, secondo la FAO, 1.3 miliardi di cibo sono sprecati mediamente ogni anno e con essi sono sprecate le risorse che servono a produrli: 198 milioni di ettari di terra coltivabile, 173 miliardi di metri cubi di acqua, con un apporto in atmosfera di gas a effetto serra che, se lo immaginassimo come un Paese, porrebbe la massa di cibo sprecato terzo dopo gli Stati Uniti e la Cina.
La Francia, dunque, fa un passo avanti nella lotta dichiarata allo spreco di alimenti, e lo fa a livello istituzionale, cosa che segna una svolta decisiva. Accanto a questa importante iniziativa, però, se ne muovono molte altre che non fanno notizia, ma che realizzano importanti risultati e vedono il coinvolgimento diretto dei vari attori che partecipano a diverso titolo alla filiera alimentare: si va dall’amministrazione locale che quantifica la tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani in base alla quantità di rifiuti organici prodotti (Corea del Sud), agli esercizi di ristorazione collettiva che adottano forme di servizio che disincentivano l’approvvigionamento eccessivo (USA), ai supermercati che riportano sui sacchetti consigli pratici per la conservazione ottimale dei prodotti ortofrutticoli (UK), sino alle associazioni che facilitano la formazione di reti virtuose tra produttori, ristorazione collettiva, organizzazioni caritatevoli e supermercati per redistribuire le eccedenze e ridurre lo spreco (Sud Africa, Australia, Italia, solo per citare alcuni esempi).
Ecco, dunque, che quel concerto di intenti e azioni auspicato (e approvato da oltre un milione e mezzo di firmatari) dalla Carta di Milano trova nella lotta allo spreco alimentare la sua piena realizzazione in una sfida che tutta la comunità internazionale, nel suo insieme, deve necessariamente affrontare.
Bianca Dendena
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
03/03/2016