Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La transizione ecologica è tra i temi di maggiore interesse nel dibattito pubblico europeo. Il tema delle prospettive dell’economia green attraversa le stanze dei palazzi di Bruxelles, le cancellerie, per precipitare poi nei vissuti: con una certa diffidenza se ne inizia a parlare nei bar, nelle piazze.  

A metà ottobre si è svolto un corteo a Bologna, promosso dalle sigle dei movimenti sociali, dei sindacati di base e di alcune associazioni, alla parola d’ordine “fine del mese, fine del mondo, stessa lotta”: è sottesa l’identità tra rivendicazione ambientalista e giustizia sociale. Ancora prima delle elezioni del 25 settembre  Nicola Fratoianni si definiva un “ambientalista di sinistra”, così come il Movimento 5 Stelle, fin dalla sua fondazione ha sempre portato avanti il discorso circa la transizione ecologica. 

Ma oltre quanto si muove a sinistra, la transizione ecologica che cos’è? E soprattutto, la domanda a cui quotidianamente si cerca di rispondere, è possibile?  

A fronte di questi interrogativi si cercherà nell’articolo di capire elementi di discontinuità e convergenza tra l’azione dei precedenti governi e il programma dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, con l’idea di approfondire gli spazi di azione politica nel contesto dell’occidente capitalista e delle democrazie liberali. 

Cominciando con le definizioni: a livello preliminare, si può considerare la transizione ecologica come un processo di cambiamento nella struttura economica che sia orientato al conseguimento di obiettivi climatici; in ciò si esplica il concetto di transizione, che interessa la sfera economica e si configura come un processo; l’apposizione “ecologica” riguarda invece gli obiettivi climatici propri del processo. 

A un livello di astrazione inferiore, l’obiettivo individuato dalla regia del processo di transizione ecologica, la Commissione europea, riguarda l’abbattimento delle emissioni di CO2, considerata la sostanza climalterante per eccellenza. L’obiettivo riguarda la carbon neutrality, ovvero il raggiungimento di un’economia che abbia un saldo pari a zero tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica. A un livello ancor più pratico, alcune misure sono allo studio, tra cui il bando alla vendita di auto endotermiche (diesel e benzina) entro il 2035; la decarbonizzazione dell’industria primaria e dell’industria energetica, cioè la chiusura delle attività di estrazione di carbone e il suo abbandono come materia prima 

Su energia, giustizia climatica, tutela del territorio e rapporto uomo/natura si è già scritto ed è apparso come vi sia una sostanziale continuità tra destra e sinistra sui temi cardine dell’ambientalismo (produzione industriale, produzione energetica, costruzione di grandi opere a discapito della tutela del territorio e degli ecosistemi).  

La questione della transizione ecologica si innesta invece in parte sul tema euroscetticismo-europeismo: in questo la destra sembra proporre un approccio meno conciliante rispetto ai precedenti governi, esclusa la fugace parentesi gialloverde. Su tale conflitto si innesta poi il tema della tutela dello status quo economico-produttivo.

Evocata in questi termini da Enrico Letta, la questione pare configurarsi come una contrapposizione tra una destra industrialista euroscettica e una sinistra ecologista europeista. Ora sarebbe interessante capire cosa si intende per “sinistra ecologista”: oltre le narrative non sembrano esserci motivi concreti di scontro tra i due poli. È noto, per esempio, come il PD non abbia avuto obiezioni circa l’esecuzione della dozzina di decreti governativi che permettono tuttora alle acciaierie ex-ILVA di Taranto di continuare a produrre nonostante queste siano poste sotto sequestro da un’ordinanza della magistratura; ordinanza in cui l’impianto viene accertato essere causa di un disastro ambientale con conseguenze in termini di mortalità e salute per la popolazione locale.  

Così come si conosce la storia del Movimento 5 Stelle, che nel 2018 fece campagna elettorale contro le “grandi opere inutili”: dopo quattro anni di governo, il tunnel della TAV è ormai quasi finito, la TAP è al suo posto, procedono i lavori per il Terzo Valico nell’Appennino ligure. Occorre inoltre ricordare come non ci sia stata nessuna opposizione circa la riattivazione delle centrali a carbone dopo la crisi dei rapporti diplomatici con la Russia, così come c’è una sostanziale convergenza politica sulla necessità di affiancare a Livorno, La Spezia e Porto Viro il rigassificatore di Piombino, nonostante sia noto come questi impianti abbiano un impatto deteriore sugli ecosistemi e sulle attività ittiche. Oltre le narrative, appunto, cosa rimane? 

Tuttavia, disinnescata la conflittualità sui temi cardine dell’ambientalismo, occorre analizzare le posizioni del centro-destra nel tentativo di ravvisare elementi di discontinuità.  

“La pacchia è finita” diceva qualche settimana fa Giorgia Meloni, mentre già si parla di discutere la primazia del diritto comunitario su quello nazionale. Nel programma di governo quest’evoluzione soft dell’euroscetticismo viene declinata nella volontà di rinegoziare l’European Green Deal, il documento programmatico in cui la Commissione Europea enuclea la sua Grand Strategy circa il tema della transizione ecologica, nonché il suo principale allegato, ovvero il pacchetto “FIT for 55”.  

Qui, secondo il programma di FdI, gli obiettivi devono essere: “Realizzare gli obiettivi della transizione ambientale ed ecologica del PNRR salvaguardando il sistema produttivo colpito da anni di crisi, con particolare attenzione alle filiere industriali di difficile riconversione” e “Giocare un ruolo attivo e propositivo nei prossimi mesi in Europa durante i negoziati del pacchetto Fit for 55, con l’obiettivo di difendere e tutelare gli interessi del sistema industriale e produttivo nazionale”.  

La Lega ha posizioni ancora più nette: il “Green Deal” è visto come un “piano di politica industriale desueto e inappropriato per il contesto che si sta vivendo, che ha già mostrato ampiamente tutte le sue vulnerabilità”. Vengono poi definite le problematiche “geopolitiche, tecnologiche, finanziarie e socio-economiche” relative all’attuazione del suddetto. In comune con Fratelli d’Italia vi è inoltre la posizione sulle negoziazioni del pacchetto “FIT for 55”: qui si parla di “attenuarne o procrastinarne le misure dall’impatto sociale più dirompente, come la messa al bando del motore a scoppio nel 2035 e l’inclusione dell’edilizia e del trasporto su strada nel sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra nell’Ue (ETS)”. 

Traducendo: va bene la transizione ecologica, ma bisogna produrre; va bene la tutela dell’ambiente, ma viene prima la tutela dell’industria nazionale. 

Qual è quindi l’impressione che si ricava dal confronto tra le due proposte?  

Sembra che il centrodestra non abbia interesse a portare avanti neanche l’ambientalismo narrativo proprio di quello che fu il “campo largo”. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia non propongono infatti nessuna rottura con lo status quo, in cui l’ambiente e il territorio sono considerati a disposizione delle necessità della produzione e del consumo.

In ciò è in qualche modo curioso il riferimento animista contenuto nel programma di Fratelli d’Italia, in cui si parla di soffi divini e si contesta al PD il suo essere “ateo e materialista”. 

Questo cambio di approccio come si tradurrà nella realtà? Una buona indicazione sembra arrivare dalla scelta del nuovo ministro dell’Ambiente e dalla permanenza di Cingolani nell’ambito governativo. Ciò segna una sostanziale continuità politica, ma propone uno scarto in termini amministrativo-gestionali. Ci si aspetta infatti che gli organismi tecnici e di controllo facenti capo al ministero dell’Ambiente, per esempio ISPRA, possano cambiare indirizzo, verso una maggiore permissività in termini di inquinamento locale ed emissioni. 

ISPRA è l’ente preposto alla valutazione, tra le altre cose, delle Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) dei grandi impianti industriali: come nota Ferdinando Cotugno su Domani, sotto la guida di Picchetto Fratin ci si aspetta che maggiore attenzione venga posta alle necessità produttive, no matter what.  

Per concludere, quindi, simile al sotteso di diversi militanti di Fratelli d’Italia “non sono fascista ma…”, sembra che lo stesso valga per la formula, tristemente bipartisan, “bisogna tutelare l’ambiente ma…”. 

Fotografia: Maxim Tolchinskiy
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