AFOr (acronimo di Archivio della Fonti Orali) è un progetto di ricerca indipendente nato nel 2018 per volontà dell’associazione culturale e collettivo artistico Amigdala, come supporto alle attività della fabbrica civica OvestLab – della quale Amigdala è ente gestore dal 2017. OvestLab rappresenta un punto di riferimento del progetto di rigenerazione urbana a base culturale dello storico Villaggio Artigiano di Modena Ovest – primo Villaggio Artigiano in Italia, diventato modello tipologico replicato a livello nazionale e internazionale – e nasce con la volontà di dare valore alle profonde radici sociali di collaborazione e di unione tra lavoro e vita che il Villaggio Artigiano rappresenta non solo per i suoi abitanti, ma per tutta la città di Modena.
Attraverso progetti culturali, artistici, e di coinvolgimento attivo della cittadinanza, OvestLab negli anni ha sperimentato diversi modelli di relazione e attivismo civico, all’insegna di quegli stessi valori con i quali il Villaggio è stato costruito. Le plurime forme di relazione e di collaborazione con gli abitanti hanno permesso la raccolta di diverse testimonianze – vero e proprio dono da parte degli abitanti per contribuire attivamente alla memoria collettiva di questo pezzo della città – che hanno trovato in AFOr una sede e una sua collocazione. AFOr si forma dunque come raccolta di queste fonti orali, con la volontà di rendere più esplicite attraverso la forma e gli strumenti dell’archivio le sfaccettature della nascita e dello sviluppo di questa parte di Modena, simbolo dei valori sui quali le radici della città stessa poggiano.
La stretta collaborazione tra OvestLab e gli artigiani abitanti del Villaggio; tra i materiali scambiati; tra i pezzi meccanici dei macchinari – scarti per uno e risorsa per un altro; sono questi dettagli impercettibili nella storia ufficiale, spesso effimeri ma fondamentali per capire la natura di questo luogo e delle persone che lo hanno costruito.
Qui sono le persone – più precisamente gli artigiani – a fare la storia, per meglio dire: a essere storia.
Nell’ambito della memoria collettiva e delle fonti orali, l’archivio AFOr va dunque a costituire in primis uno strumento per la raccolta e successiva catalogazione di quel portato memoriale che scaturisce dalla ricerca sul territorio. Il concetto di archivio è qui concepito come “dispositivo” (Cfr. Agamben 2006) che permette di stabilire una rete di connessione tra gli elementi custoditi; questi sono poi messi in relazione dialogica e critica nella volontà di creare nuove sinergie, al fine di alimentare la stessa memoria collettiva che costituiscono. L’intento è dunque esso stesso motore, e mira a favorire nuovi immaginari collettivi per il contesto al quale si riferiscono.
I tasselli che compongono il complesso mosaico memoriale fatto di testimonianze aprono dunque a molteplici possibilità di interconnessione, che AFOr mira a esplorare e incentivare. L’archivio si costituisce infatti fin dalla sua nascita come un progetto inter- e transdisciplinare mirato non soltanto a fornire un supporto digitale per l’archiviazione del materiale raccolto, ma anche – e soprattutto – come apertura a nuove possibilità di uso e ri-uso delle memorie fattesi dati digitali. Il ruolo del digitale supera infatti quello di mero strumento e diventa terreno di scambio e promotore di interconnessioni, molte delle quali impossibili in una realtà puramente analogica.
È l’infosfera (cfr. Floridi 1999) resa possibile dal “DNA delle informazioni” (cf. Negroponte 1995) – ovvero il bit -, che permette a tutto ciò che può essere tradotto in 0 e 1 di interagire con qualsiasi altro 0 e 1. Ne derivano cambiamenti radicali, primo fra tutti quello di una società non più nella storia ma nella iperstoria (cfr. Floridi 2014), dove la realtà passa dall’essere fondata su oggetti fisici e meccanici a una forma puramente informazionale.
È in questo contesto che la traduzione digitale delle memorie collettive apre a nuove strade, laddove è garantita la possibilità di lasciarle mescolarsi e combinarsi con altri 0 e 1.
L’approccio di AFOr è dunque inevitabilmente duplice: da un lato, e grazie al supporto della conoscenza della storia orale, si forma come archivio “classico”; dall’altro sperimenta, traendo spunto da discipline altre, la possibilità di vedere attraverso una lente diversa queste informazioni. Il gesto è politico, e trae spunto da esempi quali il concetto di datapoiesi coniato da Iaconesi e Persico. Ne consegue che la risignificazione della memoria attraverso approcci mutuati dall’informatica e dalla linguistica dei corpora apre a prospettive quantitative promotrici di inedite letture qualitative – in una maniera simile alla distant reading di Franco Moretti (2000, 2013).
Mentre la capacità di estrarre dalla sperimentazione dell’archivio tratti metodologici per una sua possibile replicabilità come modello open-source ne permette una continua contaminazione. Il valore divulgativo delle fonti assume pertanto nuove connotazioni, permettendo un ri-uso di questi ‘nuovi dati’ come base per la reinterpretazione dei loro contenuti per esempio nella creazione di mappe interattive, in installazioni artistiche, e in nuovi strumenti per la didattica attraverso la valorizzazione della storia del territorio e dei suoi abitanti.
Una pluralità di prospettive che favorisce la riflessione critica sia sulla forma che sui contenuti di queste memorie, e che si pone come approccio iperstorico per l’analisi e costante risignificazione di immaginari e identità future.