Scuola Superiore Meridionale di Napoli

«Spatriato», agg. Ramingo, senza meta, interrotto. Ma anche balordo, irrisolto, allontanato, sparpagliato, disperso, incerto.

Dall’ultimo premio Strega Mario Desiati.

«Migrante», chiunque si sposti oltre un confine nazionale o all’interno di uno Stato, allontanandosi dal proprio luogo di residenza abituale.

Glossario dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni

 

Nella lingua comune, la migrazione non ha alcuna valenza politica: potremmo usare il termine per riferirci ai merli tanto quanto ai pelopiedi di Tolkien. Al contrario, curiosamente, il gergo rivela l’essenza reale della questione: lo spatriato ha cambiato patria, che coincide con lo Stato. Lo Stato ha tra i suoi elementi costitutivi la sovranità su un territorio ben definito e una popolazione: terminologia abbastanza frequente nel dibattito pubblico e nella narrazione sui migranti, tale da richiedere lucidità nel suo utilizzo.

Gli Stati sovrani creature giovanissime rispetto ai tempi lunghi della Storia, e persino lo Stato italiano, per come lo conosciamo noi, ha rinegoziato i propri confini fino alla prima metà del Novecento. Queste linee di demarcazione sono, in alcuni casi, ancora in discussione.

Quanto all’elemento della popolazione, è quello soggetto alle fluttuazioni maggiori perché viviamo in transit e per svariate ragioni cambiamo territorio. La popolazione è come una spuma di mare, si allarga e si contrae, è porosa: non soltanto comprende i cittadini, condizione giuridica che ogni Stato ha la sovranità di definire in modo autonomo, ma chiunque risponda al requisito spaziale di occupare il suolo statale. L’individuo che si sposta è un migrante e diventa parte della popolazione dello Stato di accoglienza.

Le fallacie logiche cominciano ad affastellarsi quando introduciamo concetti più fumosi, come popolo o patria, che contengono quell’elemento di ethos, cioè di costume e tradizioni, molto più complesso da normare. Esistono delle soluzioni convenzionali per definire i tempi della “naturalizzazione”, cioè dell’acquisizione di alcune consuetudini (“naturali”) e di modi di vivere del Paese ospite, ma si tratta di creature astoriche e primigenie che, tuttavia, riescono a definire una linea di demarcazione – e quindi di esclusione – tra “noi” e “loro”.

Nel dibattito pubblico, il “loro” è solitamente costituito dai migranti irregolari, che perciò non hanno avuto accesso a procedure regolamentari per la concessione, per esempio, dello status – disciplinato nel diritto internazionale oltre che europeo – di rifugiati o di richiedenti asilo politico (si prendano come riferimenti la Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il suo Protocollo del 1967, e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Come vedremo, nei programmi dei partiti la cornice retorica in cui è affrontata la questione si presenta come radicalmente opposta. Da un lato, il frame comunicativo della sicurezza: gli sbarchi sono presentati come un flusso incontrollato e minaccioso da arginare per la tutela del cittadino. Dall’altro, l’integrazione è finalizzata a garantire la dignità dell’individuo, soggetto emerso all’attenzione della disciplina internazionale dei diritti umani sottratti alla diplomazia interstatale.

Ma non è solo il popolo a rischiare di farci incorrere in ragionamenti fallaci: in quanto Paesi membri dell’UE, abbiamo accettato oneri e onori, diritti e doveri, e pertanto può accadere che su alcuni temi i nostri margini di sovranità siano ceduti alla decisione collegiale. Infine, esiste un problema di percezione: i numeri assoluti non raccontano mai una storia per intero e le coperture mediatiche possono rischiare di amplificare la portata di un evento generando paure e preoccupazioni infondate (qui i dati del 2022 forniti dal ministero dell’Interno e qui alcuni confronti statistici con i Paesi europei fino al 2021, e qui gli ultimi dati presentati da Frontex che mostrano l’incremento in percentuale della rotta balcanica).

Centrosinistra

Sul tema dell’immigrazione, oltre al sostegno allo ius scholae (cioè l’ipotesi di far dipendere l’acquisizione della cittadinanza dal percorso scolastico), il Partito Democratico propone il superamento della legge Bossi-Fini per l’approvazione di una nuova legge sull’immigrazione che permetta l’ingresso legale per ragioni di lavoro; la creazione di un’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie e l’implementazione di un nuovo modello di accoglienza fondato su piccoli centri diffusi sul territorio; l’allargamento dei corridoi umanitari, promossi da realtà come la Comunità di S. Egidio e la Caritas nel caso di particolari emergenze.

Il PD ribadisce l’adesione ai vincoli europei (per esempio l’articolo 3 CEDU che prescrive il rispetto del principio di non-refoulement, cioè di non respingimento, e l’articolo 4 Protocollo n. 4 della CEDU che vieta l’espulsione collettiva) ma in modo parziale, auspicando il superamento del Regolamento di Dublino che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo.

Nella coalizione, la Rete Verdi-Sinistra si concentra sulla tutela dei migranti nei luoghi di lavoro (qui l’iniziativa di EU-MED promossa da Fondazione Feltrinelli a denuncia del caporalato) e un’attenzione non soltanto agli sbarchi nel mediterraneo, ma anche alle rotte balcaniche. L’Alleanza propone una riforma del diritto d’asilo (che, come spiegato, si basa sul principio del primo approdo) e la fine di procedure di esternalizzazione delle frontiere (cioè quelle azioni economiche, militari e giuridiche che cercano di impedire preventivamente l’arrivo dei migranti: ne è un caso il Memorandum Italia-Libia).

Diverse poi le proposte nell’ottica di un’integrazione solidale: cancellazione dei CPR, incremento delle strutture amministrative per l’ottenimento del diritto d’asilo, facilitazione del rilascio del permesso di soggiorno (per esempio tramite iscrizione ai centri di impiego come stp, cioè straniero temporaneamente presente, o con riforma della legge anagrafica per facilitare il mantenimento della residenza); istituzione di albi regionali e comunali per figure professionali di settore come i mediatori interculturali e creazione nei comuni della consulta delle cittadine e dei cittadini stranieri non comunitari e apolidi e dei consiglieri comunali aggiunti a carattere elettivo; tutela delle famiglie transnazionali, in particolare tutela minori rimasti in patria, e abbassamento dei limiti di reddito per il ricongiungimento familiare.

Il programma di +Europa non parla mai di immigrazione ma più genericamente di fenomeno “migratorio”, ed è in linea con gli alleati di coalizione: ius scholae, superamento della Bossi-Fini e del Memorandum, oltre che dell’accordo di Dublino; propone inoltre la reintroduzione del sistema dello sponsor e regolarizzazione a partire dalla Proposta di Legge di iniziativa popolare “Ero Straniero” depositata nel 2019. Importanti gli accordi e i protocolli di cooperazione con gli altri Stati per un aiuto sostenibile e condiviso tra Paesi, e lo stanziamento entro il 2030 dello 0,7% del RNL (che si ottiene sommando e sottraendo alcuni flussi di reddito tra Paesi dal PIL) a favore dei partenariati per lo sviluppo e l’eradicazione della povertà.

Movimento 5 Stelle 

Su immigrazione e integrazione, il Movimento 5 Stelle sostiene una politica di cooperazione con l’Unione europea per agire nei Paesi d’origine in chiave di stabilizzazione, democratizzazione e sviluppo economico, presupponendo la cessazione di ogni relazione (nella forma, per esempio, della vendita di armamenti) che possa alimentare i regimi non democratici. Richiesta l’apertura di nuovi corridoi umanitari, sul modello ucraino, e il superamento del principio del Paese di primo approdo.

Terzo Polo 

L’introduzione della questione “immigrazione” è nel programma di Renew Europe nella veste dell’ideologia producerism, tale per cui una virtuosa integrazione dei migranti sarebbe un argine (Matteo Salvini di recente sta usando il termine “risorsa”) alla crisi demografica del nostro Paese e di conseguenza renderebbe sostenibile anche fiscalmente il rapporto tra lavoratori e pensionati.

Renzi e Calenda propongono accordi di cooperazione con i Paesi di origine e di transito (un Migration compact europeo) tramite politiche commerciali, di difesa, institution building, finanziamenti dedicati, allargamento dell’unione doganale e collaborazione vincolante sui rimpatri in cambio di forme di controllo rafforzato sulle partenze irregolari. Prevista anche la distinzione tra profughi umanitari e migranti economici, con l’introduzione della figura dello sponsor (come per il programma di Emma Bonino) che favorisca l’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.

In ottica integrativa, Renew Europe propone corsi di lingua e cultura italiana, regolarizzazione e contrasto al lavoro nero e all’economia criminale, ius scholae per chi abbia frequentato per almeno 5 anni un percorso di formazione in Italia e cittadinanza agli studenti stranieri che abbiamo completato gli studi universitari in atenei italiani. A gestione di un fenomeno così complesso come l’immigrazione, un Ministero dedicato.

Centrodestra

Sul fronte della coalizione di destra, c’è un’endiadi inscindibile tra il trattamento “degli immigrati” e la sicurezza dei cittadini. Lo spartiacque nel programma di Fratelli d’Italia è rappresentato dalla legalità: esiste l’immigrazione irregolare e la gestione ordinata dei flussi legali, e ai regolari è riservata l’inclusione lavorativa e sociale. Il riferimento all’Unione europea non è relativo agli accordi di Dublino, ma piuttosto al Trattato di Schengen e quindi al controllo delle frontiere e al “blocco degli sbarchi”; si parla di distribuzione equa delle richieste d’asilo menzionando impropriamente il blocco navale. Auspicati gli accordi con il Nord Africa e la creazione di hot-spot gestiti dall’Ue ma in territori extra-europei, assieme ad accordi con gli Stati terzi per il rimpatrio di clandestini e irregolari, potenzialmente favoriti – nel programma di Meloni – da inopportune interferenze di alcune Ong. Proclamata in via di principio la lotta al razzismo.

La Lega è il partito che più di tutti ha modellato la propria identità su un “credo” patriottico. Nel programma delle imminenti elezioni, tuttavia, l’appello – tipicamente populistico – alla centralità del popolo come comunità omogenea, unita e virtuosa si è fortemente attenuata. Il “popolo” scompare a favore della Nazione fondata sulla famiglia e sulla bellezza.

Quanto alla trattazione dell’immigrazione, le proposte sono pienamente in linea con la coalizione ma fortemente sbilanciate verso una retorica di tipo emergenziale, in cui la disciplina dei flussi migratori è intrinsecamente legata alla legalità e alla sicurezza. La Lega difende gli accordi presi con Libia e Tunisia (quindi l’esternalizzazione delle frontiere) e ne propone un rafforzamento assieme ad accordi di partenariato europei e a una gestione delle domande d’asilo a partire dalle sedi diplomatiche italiane o dell’Ue.

Chiede il ripristino di “nuovi decreti Sicurezza”, optando per la revisione della protezione speciale allargata (cioè per “motivi umanitari” accanto a quelli di asilo e per i rifugiati)  e rivedendo le ragioni di diniego del permesso di soggiorno nel senso del loro ampliamento, oltre a prospettare una più severa legge di conversione dei permessi di soggiorno in permessi di lavoro.

Resta fermo il no a qualsiasi ius che non sia sanguinis, sulla base della convinzione che, pur non godendo formalmente della cittadinanza, i minori stranieri residenti abbiano accesso a una serie di diritti scolastici, sociali, assistenziali. Pur a favore della regolarizzazione degli immigrati irregolari, per Salvini bisogna evitare l’effetto “sanatoria” e operare sui flussi in ottemperanza ai bisogni del mercato del lavoro e per una immigrazione “di qualità, specializzata, stagionale, a tempo”.

Sulla gestione dell’accoglienza, il programma rivendica quanto fatto con i profughi ucraini, in nome di una comunanza di intenti, di cultura e di principi occidentali, definendo di fatto il diritto all’accoglienza sulla base del già menzionato ethos.

Infine, molto spazio è dedicato alla disciplina delle Ong e alle procedure di ingresso in acque nazionali, nell’auspicio che non ostacolino procedimenti di espulsione (che, come abbiamo visto, viaggiano su un crinale sottile di violazione del diritto europeo e internazionale) e creazione di CPR regionali che favoriscano i rimpatri.

Conclusioni

Raminghi, dispersi, senza meta, interrotti. In fuga da qualcosa e impossibilitati ad approdare verso qualcos’altro. Oppure spezzati tra un passato che è iscritto negli occhi dei loro padri e delle loro madri, e un presente che è, in realtà, ipoteca su un futuro incerto. La sfida del prossimo Governo sarà vincere l’assuefazione, non abituarsi mai alla spettacolarizzazione del dolore, restituire dignità a tutti gli spatriati, che sono loro e siamo (stati) noi, senza però trascurare le paure striscianti nel Paese, ma sciogliendole in nome della lucidità e dell’umanità.

Fotografia: Daniel Schludi
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