PHD Researcher all'Università degli Studi di Milano.

La condizione dei giovani nel mercato del lavoro e la lotta alla precarietà lavorativa rappresentano un tema ricorrente in ogni campagna elettorale per ragioni che partono da lontano. Il mercato del lavoro ha cambiato volto e struttura a partire dal pacchetto Treu, risalente al 1997, che ha introdotto una maggiore flessibilità con lo scopo dischiarato di combattere la disoccupazione e negli anni successivi molte altre riforme sono andate nella stessa direzioni (legge Biagi del 2003 e Jobs Act del 2015 in particolare).  

Questa maggiore flessibilità ha avuto come riflesso primario quello di rendere più precaria la condizione di vita di molti giovani che negli ultimi decenni si sono affacciati al mercato del lavoro. Rispetto al passato, i giovani affrontano in Italia numerose difficoltà per rendersi economicamente autonomi, raggiungere la piena maturità sociale e condizioni di vita soddisfacenti. La dinamica demografica degli ultimi anni imporrà alle giovani generazioni di oggi di sostenere, in prospettiva, la popolazione anziana, inattiva, di dimensione superiore. Sulle generazioni più giovani gravano, inoltre, oneri derivanti da scelte a cui non hanno partecipato in termini di debito pubblico e stato dell’ambiente.  

Questi fattori hanno contribuito a un impoverimento della nuova generazione rispetto a quella dei genitori e nelle classifiche internazionali l’Italia figura agli ultimi posti per un ampio divario intergenerazionale e per la scarsa mobilità sociale. Considerando l’indice globale dello sviluppo giovanile (Global Youth Development Index) l’Italia si attesta su un punteggio pari a 0.816 collocandosi nella classifica mondiale al 23° posto (tra i Paesi dell’Europa al 16° posto), con una performance più critica nei domini dell’istruzione (36° posto) e dell’occupazione (46° posto), fino ad arrivare ad una partecipazione politica e civica minima (125° posto).  

Questi dati fotografano una realtà critica: i giovani in Italia lavorano poco e il lavoro che svolgono è un lavoro “povero” in termini di competenze e compensi. Il nostro paese ha la più elevata percentuale di cosiddetti “Neet”, ragazze e ragazzi fra i 20 e i 34 anni di età che non lavorano, non studiano e non sono coinvolti in altri tipi di percorsi formativi e di avviamento al lavoro. Il problema, fra l’altro, è che questa cifra sta crescendo: nella sotto fascia più elevata (25-34 anni) l’incidenza è infatti passata dal 23.1% del 2008 al 30.7% del 2020, ultimo anno disponibile (oltre 12 punti sopra la media Ue).  

Le stesse evidenze, davvero sconfortanti, emergono dell’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze battezzato “Disuguitalia” che indaga le condizioni e le prospettive del mercato del lavoro nel nostro paese. Un contesto in cui, purtroppo, lavorare non basta per soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare e avere prospettive di un futuro dignitoso. Senza allontanarci troppo dalla parte dedicata ai giovani, basti dire che nel 2019 l’11.8% dei lavoratori italiani era a rischio di povertà, oltre 2.5 punti sopra la media Ue. Oltre un lavoratore su otto, prima della pandemia, era annoverato tra i working poor: al momento dell’intervista dichiarava cioè di aver lavorato per più della metà dell’anno di riferimento e di appartenere a un nucleo familiare con reddito equivalente disponibile inferiore al 60% di quello disponibile mediano nazionale.  

Il divario intergenerazionale è aumentato nel corso degli ultimi anni ed è particolarmente evidente dal punto di vista retributivo. In Italia, mediamente, i giovani entrati nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni percepiscono un reddito più esiguo se paragonato ai livelli retributivi delle generazioni precedenti quando hanno fatto ingresso nel mercato del lavoro. L’andamento delle retribuzioni medie della fascia d’età 15-29 anni dal 1975 al 2019 è stato sempre decrescente, a differenze delle fasce di età tra i 30 e i 49 anni e gli over 50, che hanno registrato tendenze altalenanti. Nel dibattito pubblico la condizione di povertà lavorativa viene spesso associata, e a volte liquidata, con un livello basso di retribuzione e alla stagnazione salariale.  

I numeri non mentono: il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni di età si è clamorosamente contratto in oltre quindici anni, passando dal 25.7% nel 2005 al 16.8% nel 2020 (dal 74.5% nel 2005 al 66.9% nel 2020 nella fascia di età tra i 30e i 34 anni) mentre quello dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni di età è salito di oltre 23 punti percentuali passando dal 31.4% del 2005 al 54.2% nel 2019. Un pezzo della responsabilità sta anche nelle carenze della formazione professionale, che non riesce a colmare il “mismatch” con le esigenze e le richieste dei settori produttive, e dell’inesistenza delle politiche attive del lavoro 

Un’altra questione che ha assunto una dimensione importante è il fenomeno della sovra istruzione giovanile: a metà 2020 oltre un giovane su tre, tra i 25 e i 34 anni di età, svolgeva un’attività professionale che richiedeva un titolo di studio inferiore a quello posseduto. Sono prospettive che spingono sempre più giovani – almeno 112mila laureati nel decennio 2010-2019 – ad abbandonare l’Italia in cerca di migliori opportunità e soprattutto compromettono la traiettoria di sviluppo del paese, che così perde le risorse più preziose per il presente e il futuro di cui, fra l’altro, ha pagato la formazione. Il lavoro giovanile è caratterizzato da una maggiore quota di lavoratori con un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto da chi svolge la medesima professione. Nel 2020, nel 38 per cento dei casi i lavoratori tra i 25-34 anni hanno un titolo di studio superiore, contro il 30 per cento registrato nella fascia di età 35-44 anni. In altre parole le giovani generazioni, oltre alla maggiore difficoltà di inserimento lavorativo, sperimentano spesso occupazioni in cui tendono ad essere sovra-istruiti.  

Gli stipendi o i compensi rappresentano quindi un problema urgente ma certamente sono solamente una parte della storia. L’altra parte della storia riguarda i più giovani con la pandemia che, a complicare ancora di più la situazione, ha lasciato segni profondi: oltre due giovani su tre che erano “Neet” nel 2019 sono rimasti nella stessa identica condizione un anno dopo, oltre tre su quattro al Sud Italia o tra i giovani meno istruiti o stranieri. La propensione, mediamente ridotta, all’innovazione delle imprese italiane – una costante anche prima del biennio 2020-2021 – si accompagna infatti a investimenti ridotti sul capitale umano specifico delle nuove generazioni. Un circolo vizioso e dannoso per il paese. 

 

Terzo Polo

Di fronte a questo scenario le proposte dei partiti appaiono caotiche e poco performanti. Per quanto riguarda Azione e Italia Viva, il primo punto della sezione intitolata “Giovani”, quello più caratterizzante, è l’incentivo all’imprenditoria giovanile. Si propone un progetto, finanziato con parte dei fondi del PNRR di rilancio dei Centri per l’Impiego (CpI), che preveda: servizi di consulenza, mentoring e coaching, ma anche integrazione dell’offerta finanziaria “con nuovi strumenti a sostegno dell’innovazione organizzativa e dello sviluppo del capitale umano”. In pratica si punta a fare in modo che il rilancio dei CpI contempli la loro capacità, su tutto il territorio, di fornire consulenza legale e normativa, sostegno per richiesta di fondi, ricerca di personale per le start-up degli under 35. 

Per favorire la transizione scuola-lavoro le proposte indicate sono: il rafforzamento dei servizi di orientamento coinvolgendo una rete ampia che comprenda istituzioni e imprese, la riforma di “Garanzia giovani”, contrasto all’uso improprio dei tirocini extra-curriculari, la semplificazione dell’accesso alle professioni (estendendo l’istituto delle lauree abilitanti e professionalizzanti), il consolidamento delle competenze con piani di studio universitari (con attenzione alle materie STEM e rendendo obbligatorio l’insegnamento dell’educazione finanziaria) e attraverso un progetto strategico nazionale specifico per le competenze digitali (sia in ambito scolastico che lavorativo). 

 

Centrodestra

Forza Italia, nella sezione dedicata ai giovani, prevede diverse voci: salario e stipendio minimo di 1000€ per apprendistato, praticantato e lavoro a tempo determinato; intervento sull’apprendistato professionalizzante (investendo su decontribuzione e percorsi di formazione, unitamente alla semplificazione delle procedure burocratiche di accesso); mutui e prestiti agevolati per i giovani (aumentando quanto già previsto dal Decreto Sostegni bis e dalla Legge Finanziaria 2022), supporto all’imprenditoria giovanile (compresi incentivi alla creazione di startup tecnologiche e/o a valenza sociale, anche attraverso strumenti di finanza innovativa); potenziamento degli strumenti di finanziamento per esperienze formative e lavorative all’estero per giovani diplomati e laureati (finalizzate al reimpiego sul territorio nazionale delle competenze acquisite), promozione e rilancio dell’artigianato e dell’impresa come prospettiva lavorativa per le nuove generazioni. 

Fratelli d’Italia, nella sezione dal titolo “Largo ai giovani”, fa emergere una forte attenzione verso lo sviluppo fisico, la promozione di comportamenti salutari, la cittadinanza attiva (intesa soprattutto come protezione civile e difesa del territorio). Si vuole garantire il “diritto allo sport, all’arte e alla cultura” attraverso un potenziamento degli impianti sportivi e rendendo disponibili aree attrezzate in ogni comune (dove praticare agevolmente musica, arte, teatro, danza). L’intenzione è far diventare la scuola elemento centrale del territorio e della sua comunità, anche con aperture pomeridiane per iniziative che ampliano l’offerta culturale e sportiva. Si propone di istituire borse di studio per meriti sportivi e artistici, di avviare iniziative di informazione, prevenzione, recupero rispetto alle devianze giovanili.  

Relativamente alla transizione scuola-lavoro si punta ad azzerare nei primi tre anni le tasse per gli under 30 che avviano una propria attività e ad incentivi alle aziende per l’assunzione di giovani. Si intende anche potenziare i fondi per l’auto imprenditoria, snellire le procedure di accesso, offrire spazi e servizi di consulenza a costo zero per la fase di avvio. Importante notare che viene esplicitamente indicata la “valutazione dell’impatto generazionale delle leggi e degli interventi pubblici, per poterne verificare la sostenibilità e mettere ‘in sicurezza’ il futuro dei giovani italiani”. 

La proposta della Lega per i giovani prevede: “Piano di studi” (costruzione di un tavolo di discussione permanente tra scuola, Università e mondo del lavoro al fine di allineare i contenuti formativi dei ragazzi alle esigenze delle imprese); “Strumenti di supporto” (prevedere nella formazione degli studenti  anche come si affrontano colloqui e selezioni, compresa la compilazione del cv); “Supporti alle assunzioni” (ridurre l’imponibile per i giovani assunti); “Stimoli agli investimenti” (aumentare l’investimento in startup attraverso i fondi e con incentivi a privati e imprese, creazione di un ente pubblico per la gestione dei fondi raccolti in progetti di imprenditoria: startup, spin-off universitari, innovazione e ricerca); “Aiuti alle neo-imprese” (sgravi fiscali, accesso al credito, sostegno alla Ricerca e Sviluppo); “Rete” (iniziative di incontro tra aspiranti imprenditori, aziende, Università ed investitori, favorite da uno sportello startup all’interno delle Università); “Formazione” (contributi per corsi di formazione aziendale, possibilità di periodo di aspettativa lavorativa per fondare un’azienda). Proposte vengono avanzate anche per far rientrare startup fondate da italiani all’estero e per l’incentivo alla creazione di startup mirate alla tutela dei prodotti italiani locali. 

 

Movimento 5 Stelle

Il Movimento 5 Stelle nasce con una attenzione specifica verso le nuove generazioni, anche se poi, misurandosi con l’azione di governo e la necessità di allargare il consenso, ha progressivamente ampliato la platea alla quale si rivolge (nel programma c’è anche una sezione dal titolo “Dalla parte di tutti, nessuno escluso”). Rispetto ai giovani (sezione dal titolo “Dalla parte dei giovani: per il loro futuro, di benessere e stabilità”) c’è in primo piano la preoccupazione per il futuro previdenziale a cui si intendere rispondere con una pensione di garanzia per i giovani con carriere intermittenti, ma anche con riscatto gratuito della laurea (intesa anche come incentivo allo studio universitario). Rispetto alla transizione scuola-lavoro i punti principali sono la proroga dello sgravio per l’assunzione di under 36 e gli incentivi all’imprenditoria giovanile (compresa la “sburocratizzazione delle aziende startup”). Va aggiunto anche il contrasto del precariato (agevolando i contratti a tempo indeterminato) e lo stop a stage e tirocini gratuiti (con anche riconoscimento del periodo di tirocinio ai fini pensionistici. 

 

Centrosinistra

La proposta di punta del Partito Democratico e della coalizione di centro-sinistra per i giovani (inserita nella sezione dal titolo “Un paese per giovani”) prevede una dotazione di 10 mila euro al compimento dei 18 anno, su base ISEE, con funzione di coprire spese relative alla casa, all’istruzione e all’avvio di una attività lavorativa. Viene indicata come copertura di questa spesa l’aumento dell’aliquota su successioni e donazioni superiori ai 5 milioni di euro. Per migliorare la transizione scuola-lavoro si mira ad abolire di fatto gli stage extra-curriculari (gli stage saranno possibili solo entro il primo anno dalla fine del percorso formativo), a incentivare l’apprendistato e ad azzerare i contributi per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 35.  

Rispetto al tema abitazione, si propone di potenziare il Fondo di garanzia mutui per la prima casa e di introdurre, in base al reddito, un contributo affitti di 2 mila euro per under 35 che studiano o lavorano. Per chi ha carriere discontinue e precarie è avanzata l’idea di introdurre una pensione di garanzia che consenta l’accesso ad una pensione dignitosa. Infine, per rafforzare la partecipazione alla vita politica, si ribadisce la volontà di abbassare a 16 anni l’età al voto e si intende istituire una nuova legge per favorire il voto dei fuorisede.  

In riferimento al tema dei fuorisede, sottolineiamo che in Italia quasi 4,9 milioni di persone studiano o lavorano in una regione diversa da quella di residenza ed avranno grandi difficoltà a recarsi alle urne confluendo così nella massa indistinta dell’astensionismo involontario. Si tratta di una questione dirimente poiché un decimo circa del corpo elettorale, rappresentato in prevalenza da giovani under 35, avrà difficoltà ad esercitare il proprio diritto di voto vedendosi negata una rappresentanza che potrebbe, almeno in via teorica, guardare con maggiore attenzione alle future generazioni. 

Fotografia: Emmanuel Ikwuegbu
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