La laicità è in crisi?

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La laicità è in crisi. Le religioni sono tornate a giocare un ruolo nello spazio pubblico inimmaginabile fino a pochi decenni fa. Ritorno potente e, per certi aspetti trionfante, ma “debole”. Il vuoto che si è prodotto con la crisi delle grandi ideologie laiche del secolo scorso è stato colmato da un ricorso banalizzante alle identità religiose, come rimpiazzo con un’offerta più accattivante. Questa offerta denuncia la crisi della laicità, ma non pone meno problemi alla sfera del religioso.

Chiediamoci: che cos’è laicità? È una procedura?  E’ anche un contenuto? Se procedura significa costruzione di regole di relazione, ovvero un galateo di comportamento, trattare la laicità come un contenuto implica, come proprio della sfera del religioso, affrontarla su un doppio piano: ciò a cui non si può rinunciare e ciò che si riconosce come “sacro”.

A cosa non può rinunciare la laicità? All’analisi storica, culturale dei contenuti, prima di tutto. Ovvero alla analisi dei fondamenti culturali, propri e altrui come sistema di spiegazione. Intraprendere questo percorso di conoscenza, ovviamente, significa avere delle competenze, che non stanno nella propria identità culturale, ma che si formano se si considera il prodotto culturale dei diversi mondi religiosi.

Le fedi non sono catechismi applicati. Sono pratiche che si originano da confronti tra interpretazioni. Per questo rappresentano scelte. Per comprenderle, occorre avere una dimensione storica del loro divenire. Una pratica religiosa (ovvero atti, che discendono da decisioni e da spiegazioni) non è data una volta per sempre. E’ un risultato.

Nella discussione pubblica in Italia questa è una condizione del tutto assente: i contenuti dell’esperienza religiosa non solo restano appannaggio di chi pratica, ma contemporaneamente – in gran parte dei mondi religiosi – non c’è nemmeno chi misuri e proponga la lenta formazione di una competenza culturale intorno al religioso.

Ciò che invece avviene all’interno del mondo religioso, anche se in dimensione di enclave di alta qualità – e in un isolamento, che appunto nonostante il successo del “religioso” ne annuncia la sua crisi – è una riflessione “aperta” sulla propria identità. Da quei percorsi, spesso in solitudine, o in odore di “eresia”, i laici, se solo uscissero dalla loro presunzione, avrebbero, invece, molto da imparare, anche solo relativamente al modo di porre domande alla loro laicità.

Ma laicità è anche ciò a cui non si può rinunciare. E dunque la definizione e l’identificazione di ciò che è sacro: di qualcosa che proprio per questa sua dimensione, chiede rispetto. Il sacro, a prescindere dai contenuti e dalle procedure (che significano: luoghi di culto, oggetti e simboli a cui si affida la propria devozione) è quell’ambito a cui ciascuno deve avvicinarsi “con timore”.

Sacro per un laico è il pluralismo, la sfera dei diritti di genere, quella dei diritti civili. Questioni che non sono “opzioni” ma valori non negoziabili che sono il segno della contemporaneità e che lacerano sia chi si vive laicamente, sia chi all’interno delle esperienze di vita religiose propone percorsi di inquietudine e non di entusiasmo. Anche da quelle parti, tempi duri.

David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

4/02/2016

 

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