Si può essere felici a scuola? Si può immaginare una sua configurazione che alimenti il desiderio di apprendere e di essere soggetti? In che modo configurare la scuola per far sì che promuova la salute bio-psico-sociale? Come ridisegnare la scuola di fronte alle sfide dell’Antropocene, alla necessità di tener conto dei non umani, della dinamica della Terra? Ricercare la felicità, promuovere il benessere, occuparsi delle differenze a scuola possono sembrare obiettivi ambiziosi, ma poco realistici. Perfino ingenui dal punto di vista dei saperi dominanti nelle policy scolastiche, perlopiù orientati ad una visione riduzionista e funzionalista della scuola e dell’apprendimento.
E del resto il dibattito sulla scuola nel nostro paese è piuttosto stereotipato. Prevalgono immagini negative o dichiaratamente positive. Si attribuiscono alla scuola molte delle ‘patologie’ della società contemporanea, esagerandone, in alcuni casi, le responsabilità, o in altri casi, se ne riduce lo spazio, nella misura in cui la si subordina esclusivamente a logiche di tipo strumentale, che si declinano in termini di obiettivi di apprendimento. Il dibattito risulta, quindi, ripetitivamente intrappolato tra i nostalgici di una supposta età dell’oro e tra gli innovatori che di volta in volta propongono mirabolanti tecniche pedagogiche, oggi declinate sul versante digitale, come ‘le’ soluzioni per il cambiamento.
Il risultato è la mancata consapevolezza della complessità e per certi versi della radicalità delle sfide che la forma scolastica deve affrontare. Non si tratta, infatti, di proporre degli aggiustamenti di facciata che possono essere rapidamente realizzati, ma di immaginare un nuovo tipo di istituzione scolastica e di prendersi cura della sua messa in opera.
Cambiare la scuola non è un problema semplice che si può risolvere con una soluzione tecnica già disponibile. Appartiene alla classe delle questioni-rompicapo che richiedono una immaginazione creativa per la loro risoluzione. I processi di produzione/circolazione della conoscenza, per effetto dello sviluppo delle scienze e delle tecnologie, si sono molto trasformati, sollevando nuovi dilemmi etici. Sono entrate in crisi le istituzioni della modernità, la scuola in primis che aveva il suo perché nel quadro dei progetti di costruzione degli stati nazionali e della relativa organizzazione dei saperi, ma non i progetti di modernizzazione trainati sul piano globale. Il ‘lato oscuro’ della modernizzazione, la sua responsabilità nei processi di riproduzione delle disuguaglianze e nei disastri dell’Antropocene, purtroppo, non sono stati oggetto di revisione. Al più sono diventati danni collaterali, esternalità negative da tener conto nel conto del calcolo costi-benefici, aggiornamenti in una lista di indicatori di una indagine internazionale di valutazione.
In questo quadro è forte il rischio di attribuire alla scuola un ruolo ancillare rispetto all’agenda economica e di negare autonomia all’azione pedagogica. Lo abbiamo visto nella fase più dura del lockdown quando sembrava che la pandemia potesse attivare, almeno nei paesi più ricchi del mondo, un mutamento radicale trainato dal digitale. Questo cambiamento va producendo, invece, la privatizzazione leggera dei sistemi educativi e il dominio del paradigma dell’apprendimento, anzi dell’obbligo dell’apprendimento, quale condizione per l’esercizio dei diritti di cittadinanza. Una scuola insomma sempre più confinata nel curriculum dell’agenda neoliberista (si veda la recente retorica sulle non cognitive skill, ma anche il peso crescente delle metriche globali dell’educazione) e sempre meno attenta alla cura delle soggettività emergenti, alle disuguaglianze sociali, alla messa in discussione degli effetti inattesi dei progetti di modernizzazione.
Attraverso il prisma della ‘Scuola Sconfinata’ ci si muove, quindi, controcorrente. Si cerca di cambiare la narrazione, si prova a modificare il perimetro del dibattito, si contribuisce al suo arricchimento qualitativo. Ci si interroga sul perché della forma scolastica, senza alcun rimpianto per il passato, ma anche con sguardo critico verso i futuri possibili, come illustra bene il libro, con un bagaglio di idee e di policy già sperimentate e da sperimentare. Si indicano gli orizzonti dell’azione educativa e, soprattutto in questa giornata, si riflette sulla complessità della loro traduzione in pratica.
Epistemologicamente, la Scuola Sconfinata è bel salto quantico! ‘Sconfinare’ può voler dire molte cose ed essere compatibile con diversi quadri teorici. Evoca interdisciplinarità, trandisciplinarità, il pensiero nomade, la messa in discussione del pensiero binario, la problematizzazione del confine tra natura e cultura, della separazione tra gli enti, della rigida distinzione tra generi, la collaborazione tra elementi eterogenei etc. Implica, tuttavia, il superamento dell’idea della scuola come regione disciplinare chiusa e un invito a ripensarla con due idee topologiche: la rete e il fluido che diventano forme scolastiche orientate alla felicità e alla salute bio-psico-sociale.
‘Nella Scuola Sconfinata la felicità diventa ancor più un obiettivo e una condizione necessaria: coltivare la felicità permette di liberare curiosità e intraprendenza, di affrontare sfide, esperienze e scoperte’ (p. 55)
‘…la salute non è un fine o uno stato: si tratta piuttosto di un processo, una visione e una risorsa per affermare desideri e progetti di vita che possano concretizzarsi’ (p. 140)
Ogni configurazione scolastica rinvia, infatti, a soggettività che si vogliono far emergere. La scuola in un regime disciplinare favorisce uno specialismo che identifica un numero definito di oggetti e di questioni pertinenti e guarda alla produzione della soggettività esperte attraverso una specifica grammatica organizzativa. La scuola disciplinare investe in modo massiccio sulla controllabilità dei processi in termini di saperi e di soggettività. Favorisce/predilige soggetti disciplinati.
Privilegiare il disciplinamento ha, tuttavia, l’inconveniente di ridurre le condizioni di felicità dell’azione educativa che non è assimilabile ad una causalità lineare, ma procede seguendo percorsi emergenti e non meccanici. Nella prospettiva dalla Scuola Sconfinata la scuola assume una configurazione instabile, (ri)diventa un sistema a legami deboli (un’anarchia organizzata’), un complesso di assemblaggi reticolari e fluidi finalizzati a far crescere nell’Altro, come direbbe Biesta, il desiderio di diventare soggetto. Sconfinare vuol dire essere immersi in un reticolo di relazioni inedite tra attori, saperi, spazi e materiali accettando la sfida delle soggettività resistenti e il rischio dell’imprevedibilità dell’azione educativa. Si potrebbe dire con Hartmut Rosa che la Scuola Sconfinata tende a trasformare la scuola in uno spazio di risonanza. Si agisce sugli spazi, sulle relazioni tra gli attori sociali, sulle materie, sulle metodologie affinché sia la risonanza e non il dominio la dinamica che definisce le relazioni tra insegnanti, studenti, materie. Si tende a promuovere una sociologia della relazione con il mondo che non sia improntata alla reciproca alienazione, ma alla possibilità di emergenza delle soggettività, nell’ipotesi che i soggetti emergano non nel dominio, ma nella costruzione di relazioni di risonanza con gli altri umani e non umani. In estrema sintesi, si potrebbe dire che una Scuola Sconfinata è la ricerca di una simbiosi generativa (e non estrattiva) tra persone, cose e saperi.
Come è possibile realizzare il passaggio da alienazione a risonanza? In che modo, la scuola può essere ridisegnata nel quadro di una diversa relazione con il mondo? Il libro indica diverse soluzioni: i patti di comunità, il digitale democratico, la prospettiva della salutogenesi, le metodologie attive, le architetture per l’apprendimento, la cura delle relazioni interpersonali, la partecipazione degli studenti e delle studentesse. Suggerisce esperienze e autori che possono essere il punto di partenza per la riproduzione della Scuola Sconfinata e per l’attivazione delle pratiche dello sconfinare.
Tradurre in pratica l’idea della Scuola Sconfinata non è una operazione semplice. Ricorda la ricerca del passaggio a Nord Ovest, ovvero l’individuazione della rotta marittima tra l’Oceano Atlantico e la zona dell’Oceano Artico adiacente lo stretto di Bering che fu caratterizzata per quattro secoli, dal Cinquecento fino al Novecento, da una miriade di tentativi infruttuosi. Molti furono i naufragi e le morti per gelo e inedia. Si trattava, infatti, di affrontare luoghi impervi, secche, ghiacci, canali stretti, terre inospitali e sconosciute per disegnare possibili tratti navigabili. Da allora il passaggio a Nord Ovest indica un cammino tortuoso, irto di ostacoli, labirintico e viene ripreso da Michel Serres metaforicamente per indicare la continua ricerca di connessioni tra le scienze, in particolare, tra quelle umane e naturali, che bisogna scoprire e costruire di volta in volta con il consapevole rischio di insuccesso.
Non diversamente, cambiare la scuola e farla diventare sconfinata può apparire una missione (im)possibile! Può essere più semplice navigare in acque tranquille e luoghi già esplorati, malgrado si conoscano i limiti delle rotte tradizionali. Una vasta letteratura sulla grammatica della scuola sottolinea, infatti, la difficoltà di cambiarla. Una altrettanta ampia letteratura sull’innovazione e sulle riforme indica che la traduzione di una riforma, di una idea, di una tecnologia in pratica implicano processi di spostamento, interpretazione, dislocazione, nuove materialità, etc. secondo intenzionalità che talvolta sfuggono ai migliori designer. Si tratta di comprendere, quindi, se l’esperienza di Scuola Sconfinata è destinata a rimanere un passaggio episodico oppure se ha possibilità di diventare una rotta istituzionale.
Nella consapevolezza della necessità di non ritornare sempre da capo e di non riaprire la discussione sulla Scuola Sconfinata, la giornata si articola come un lavoro collettivo e cooperativo finalizzato a: 1) raccogliere esperienze, pratiche di sconfinamento e 2) riflettere su come rendere possibile la circolazione della Scuola Sconfinata, come idea chiave per il design istituzionale della scuola. Sono stati organizzati, a tal scopo, sei tavoli di lavoro su una serie di questioni chiave.
Nel primo tavolo si discute della connessione tra partecipazione e salute del rapporto tra salutogenesi e democrazia, ovvero di come si possa costruire attraverso il dialogo intergenerazionale, una scuola democratica e partecipata. Si tratta, in particolare, di individuare quali siano gli spazi per far sì che la scuola sia democratica nel dialogo tra le voci di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, insegnanti, educatori e diventi un luogo di promozione della salute e non di medicalizzazione o sorveglianza biopolitica, come è accaduto nel corso delle fasi più dure del lockdown. Scuola Sconfinata è una scuola democratica orientata al corpo, alla salute e alla felicità.
Nel secondo, invece, si dibatte del tema delle persone e delle relazioni. La Scuola Sconfinata, come si ricordava, è una scuola immersa in relazioni di cui si nutre e che contribuisce a rigenerare. Le relazioni sono, talora, asimmetriche e si inscrivono in una logica di dominio, di aggressione del mondo, a partire da confini, mura, steccati, indifferenza reciproca. La questione del confine, in questo caso, mette in gioco l’incontro con l’altro, come in particolare, si può promuovere una relazione generativa. Scuola Sconfinata è una scuola nonviolenta.
La didattica è il focus del terzo tavolo. Scuola Sconfinata pone al centro le metodologie attive come risorsa da mobilitare per superare la scuola del regime disciplinare. L’attenzione al corpo, alla pluralità dei linguaggi espressivi, il superamento della chiusura delle classi, l’ibridazione tra educazione formale e non formale diventano elementi chiave per un curricolo scolastico. Il tema del corpo è una posta in gioco fondamentale nel quadro delle biopolitiche contemporanee. Nuovi dilemmi etici chiamano in causa una rivoluzione educativa sul piano dei processi di insegnamento e di apprendimento. Scuola Sconfinata è la scuola delle metodologie attive.
Gli spazi sono oggetti d’attenzione del quarto tavolo che problematizza la questione dei luoghi della scuola. La scuola disciplinare è una scuola del confinamento in spazi regionali, di tipo topografico che escludono. Si porta il mondo all’interno, almeno nella rappresentazione delle discipline. In una Scuola Sconfinata, l’evento educativo si sviluppa in una continua problematizzazione tra interno ed esterno. Si aprono gli spazi della scuola per conoscere il territorio, l’ambiente, si sconfina nel fuori, ci si immerge nelle relazioni con il mondo sociale, si riconosce la interconnessione natura-culturale della nostra soggettività. Scuola Sconfinata è la scuola degli spazi di apprendimento.
Il quinto tavolo si occupa dei patti di comunità, ovvero ci si interroga su come sviluppare alleanze tra una molteplicità di attori per ricostruire tessuti di relazioni tra istituzioni che siano generativi sul piano del contrasto ai fenomeni della disuguaglianza sociale. In questo caso, la prospettiva della Scuola Sconfinata guarda alle concatenazioni, agli assemblaggi che producono una forma scolastica inclusiva, attenta alle soggettività più fragili, aperta anche alla pluralità delle soggettività. I patti in questo caso, mettono in gioco i confini, li attraversano in modo da ridefinirli nei reciproci limiti. Attraverso le concatenazioni, l’educazione si trasforma in un bene comune. Scuola Sconfinata costruisce l’educazione come un bene di comunità.
Il sesto tavolo, infine, affronta la questione del digitale e della cittadinanza digitale. Visto da molti come il fattore determinante della riforma della scuola, il digitale è da considerarsi piuttosto una risorsa da giocare in una prospettiva pedagogica. La governance digitale della scuola porta con sé il rischio una lenta privatizzazione dei sistemi educativi. Scuola Sconfinata è da questo punto di vista la scuola del digitale democratico.
Sei tavoli, insomma, per individuare insieme un passaggio a Nord Ovest che ci faccia capire come navigare verso una scuola che, costruendo buone relazioni per tutti e per tutte, alleanze tra saperi, attori e tecnologie, si prenda cura del complesso compito di accompagnare e far emergere il desiderio di essere soggetti nel mondo contemporaneo. In questa emergenza, la felicità non disgiunta dall’apprendimento, in una teoria complessiva dell’educazione, gioca un ruolo importante. Una Scuola Sconfinata, in questo senso, è un dispositivo che alimenta ‘sentimenti di illimitata espansione’ (Natoli), moltiplicando in modo non violento e democratico le vie di realizzazione di tutti e di tutte. Una scuola, insomma, per soggetti nomadi e ibridi in relazioni di risonanza con gli uomini, gli oggetti e la Terra.