Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La giustizia climatica è un concetto che interessa la giusta divisione, la adeguata condivisione e l’equa distribuzione degli oneri derivanti dal cambiamento climatico. Così declinato, il concetto di giustizia climatica è strettamente connesso a quello di giustizia distributiva. Con questo termine si intendono modi e criteri attraverso i quali in una comunità sono allocate le risorse, tipicamente considerate come scarse.

Chiudendo l’introduzione concettuale, l’idea alla base è che il costo del cambiamento climatico sia ripartito iniquamente, in termini geografici, economici e sociali: in ciò si traducono le principali rivendicazioni circa appunto la giustizia climatica.

Questo concetto oltre alla sua natura politica sottende significati normativi: si pone cioè l’obiettivo di sviluppare riflessioni su come dovrebbe essere la distribuzione delle risorse globali con riferimento appunto al cambiamento climatico. Tali riflessioni non sono qualcosa di nuovo nella storia dei movimenti globali e, estendendo, della sinistra: anzi, il concetto di giustizia sociale è il perno su cui si è sviluppato il movimento operaio. In questo caso, alle “classiche” rivendicazioni novecentesche, si aggiunge la dimensione del cambiamento climatico, tema che emerge con sempre maggiore forza in occidente, in misura diversa in altre comunità politiche.

I campi di applicazione del frame della giustizia climatica sono quindi vari, dall’emergenza idrica all’innalzamento del livello dei mari, dagli incendi alle compensazioni sociali per l’inquinamento, dall’aumento delle temperature alla chiusura delle miniere di carbone.

Per i nostri fini, occupandoci strettamente di politica nazionale, ed essendo l’Italia Paese membro dell’Unione Europea, è di interesse lo studio dei conflitti distributivi, potenziali o già in atto che interessano il processo di transizione ecologica, disegnato a Bruxelles ma di applicazione nazionale, regionale e locale. Conflitti distributivi che si pensa andranno ad interessare principalmente i territori caratterizzati dalla presenza di attività economiche energy-intensive o carbon-based: in altre parole, quella che viene definita industria pesante: centrali elettriche alimentate a fossile, miniere, poli petrolchimici, acciaierie, cementifici.

La domanda è quindi: quali concezioni di giustizia ambientale hanno i partiti? Quali sono le loro posizioni circa i conflitti distributivi che interessano le industrie oggetto di decarbonizzazione?

Partito democratico

Il primo punto del programma del PD riguarda proprio il tema “sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale”. Qui la transizione ecologica fa il paio con quella digitale: l’idea è quella di “operare un cambio di paradigma” per andare incontro agli “interessi della comunità nel suo complesso e delle future generazioni”. L’idea è quella di ” fissare obiettivi climatici realistici ma ambiziosi, mettendo in campo strumenti capaci di garantire una transizione socialmente equa e di rafforzare l’innovazione e la competitività della nostra industria”.

La posizione del PD ripercorre sostanzialmente la narrativa della commissione europea: sustainable development, socially just transition.

Vengono poi elencati gli strumenti di politiche pubbliche (policy) allo scopo di definire il complesso delle politiche industriali e le politiche di welfare per accompagnare la transizione ecologica. Tali policy riguardano una “riforma fiscale verde” e altri interventi fiscali per le imprese conformi ai rating ESG (rating di sostenibilità) a discapito della riduzione di sussidi alle compagnie più inquinanti. In termini di politiche passive invece lo strumento preposto riguarda l’implementazione di “adeguate compensazioni per le famiglie e le imprese più vulnerabili, in funzione di una transizione ecologica socialmente equa e sostenibile” – appunto, just transition.

Centrodestra

Al punto 12 (su 15) dell’accordo “quadro di programma per un Governo di centrodestra” si trova la sezione “Ambiente, una priorità”. Di particolare interesse sono i primi due punti, che esplicitano l’adesione della coalizione agli “impegni internazionali assunti dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici” e la “Definizione ed attuazione del piano strategico nazionale di economia circolare in grado di ridurre il consumo delle risorse naturali, aumentare il livello qualitativo e quantitativo del riciclo dei rifiuti, ridurre i conferimenti in discarica, trasformare il rifiuto in energia rinnovabile attraverso la realizzazione di impianti innovativi e sostenibili”.

Anche il centrodestra si allinea quindi su narrative ambientaliste, conformi alle prospettive europee ed internazionali. Nel documento programmatico non vi sono altri riferimenti specifici alla questione ambientale in senso stretto o circa l’implementazione di politiche compensative per i gruppi sociali e i territori che avranno una ricaduta negativa dalla transizione energetica – vi è un riferimento alla ri-negoziazione dei termini di questa in sede europea, ma non vi è esplicitato il contenuto di tale ri-negoziazione.

È interessante però proporre un approfondimento delle posizioni partitiche circa gli obiettivi definiti dalla Commissione Europea nell’ambito dell’approvazione dell’European Green Deal. Se da un lato Forza Italia al Parlamento europeo fa parte della maggioranza – la maggioranza che sostiene la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen – Fratelli d’Italia e Lega si trovano all’opposizione, rispettivamente nei “Conservatori e riformisti” e nel gruppo “Identità e Democrazia”. Questo emerge in particolar modo riguardo all’approvazione dell’European Green Deal al Parlamento europeo, dove appunto Lega e FDI hanno espresso parere negativo circa numerosi provvedimenti contenuti nella Grand Strategy della Commissione.

Nel documento programmatico pubblicato a maggio da Fratelli d’Italia, come analizzato in un precedente articolo, si parla dell’European Green Deal in termini di un documento “pretenzioso e massimalista” che danneggia “le nostre imprese”; nonché di obiettivi sul clima “irrealistici” che costituiscono un “aggravio insostenibile per il sistema produttivo italiano”. Nel programma elettorale ufficiale i toni vengono più che smussati. Tuttavia, la questione dei conflitti distributivi è sottesa nelle due diciture “Realizzare gli obiettivi della transizione ambientale ed ecologica del Pnrr salvaguardando il sistema produttivo colpito da anni di crisi, con particolare attenzione alle filiere industriali di difficile riconversione” e “Giocare un ruolo attivo e propositivo nei prossimi mesi in Europa durante i negoziati del pacchetto Fit for 55, con l’obiettivo di difendere e tutelare gli interessi del sistema industriale e produttivo nazionale”.

La Lega appare invece molto decisa, definendo il “Green Deal” come un “piano di politica industriale desueto e inappropriato per il contesto che si sta vivendo, che ha già mostrato ampiamente tutte le sue vulnerabilità”.

Vengono poi definite le problematiche “geopolitiche, tecnologiche, finanziarie e socio-economiche” relative all’attuazione del suddetto. In comune con Fratelli d’Italia vi è inoltre la posizione sulle negoziazioni del pacchetto “FIT for 55”: qui si parla di “attenuarne o procrastinarne le misure dall’impatto sociale più dirompente, come la messa al bando del motore a scoppio nel 2035 e l’inclusione dell’edilizia e del trasporto su strada nel sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra nell’Ue (ETS)”.

Movimento 5 Stelle

Il Movimento 5 Stelle ha storicamente fatto dell’ambientalismo una delle sue principali istanze. La transizione ecologica, così come il tema delle rinnovabili, l’opposizione alle “grandi opere inutili” sono da sempre uno dei punti chiave del movimento, che si è posto, almeno fino al 2018, come garante delle istanze dei territori interessati da grandi progetti infrastrutturali. È nota la vicinanza del primo Movimento 5 Stelle con il movimento NO TAV, così come l’attivismo contro il Terzo Valico, le trivelle e per la chiusura dell’ex-ILVA di Taranto (basti pensare che nel 2018 a Taranto il M5S prese il 47% dei voti). Ora, dopo cinque anni di governo sembra che le premesse dalle quali il movimento era partito si siano ridimensionate e rimanga solo una particolare attenzione al tema delle energie rinnovabili. Nello stringato programma del movimento non vengono infatti affrontati nel dettaglio i limiti e le prospettive della transizione ecologica, non si parla di compensazioni né di politica industriale.

Azione – Italia Viva

Per quanto riguarda l’ultimo blocco elettorale, quello di Azione e Italia Viva. Il tema della giustizia climatica non è sostanzialmente affrontato. Si parla di aderire alla prospettiva di ridurre del 55% le emissioni per l’anno 2030, garantendo un maggior peso delle energie rinnovabili nel computo del mix energetico, a discapito del “gas russo”. Inoltre, vi è espressa la volontà di costruire centrali nucleari per raggiungere le “emissioni zero” (o “carbon neutrality”) nel 2050. Per la transizione ecologica, invece, l’idea è quella di affrontare due temi in particolar modo: i trasporti, con incentivi pubblici per il rinnovo del parco mezzi; l’edilizia, allo scopo di migliorare l’efficienza energetica degli edifici e ridimensionare quindi le emissioni. Anche in questo caso non ci sono accenni alla questione della giustizia climatica e distributiva.

Qualche conclusione

Dall’analisi appare quindi una netta differenza tra la coalizione di centrodestra e i componenti della “maggioranza Ursula”. Lega e FdI si pongono con una posizione critica circa gli obiettivi climatici del Green Deal Europeo, in particolare per quanto riguarda l’industria pesante e il settore automobilistico. La loro posizione si può dire industrialista: il tentativo di diminuire le emissioni di CO2 va in subordine rispetto alla tutela degli interessi produttivi. In questi termini sembra che l’azione dei due partiti voglia proteggere le posizioni di rendita e i profitti della grande borghesia industriale, senza discutere sostanzialmente lo status quo.

La questione della giustizia climatica e ambientale – ipotetico problema che emerge dalla transizione ecologica – scivola quindi verso un secondo ordine di considerazioni.

Con l’eccezione di Azione e Italia Viva, che non tematizza il problema, il PD e il Movimento 5 Stelle per ragioni diverse si dimostrano innanzitutto più proattivi verso la transizione ecologica: il PD fa sua l’agenda della Commissione Europea, mentre il Movimento 5 Stelle non abbandona le sue origini ambientaliste, pur non essendo stato in grado di portare avanti le sue istanze nella precedente legislatura. Da qui i due partiti tematizzano, in modo comunque molto sfumato e vago, la necessità di agire in modo da garantire una just transition per i territori e gruppi sociali interessati dai processi di transizione ecologica e riconversione industriale, attraverso, principalmente, compensazioni sociali.

Fotografia: Markus Spiske
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