“Storie di vite” è il titolo di una ricerca antropologica − promossa da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e cofinanziata dalla D.G. Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia nell’ambito delle attività dell’AESS Archivio di Etnografia e Storia Sociale − che sta muovendo i suoi primi passi tra i pendii delle viticolture d’altitudine lombarde. È una ricerca che racconta e documenta in forma digitale uno dei volti più ‘marginali’ del paesaggio rurale regionale. La sua fragile conservazione assume infatti particolare valore sia come impronta storica lasciata dalle culture montane d’un tempo, sia come testimonianza viva di saperi tradizionali oggi ripresi in forme innovative e creative dalle giovani generazioni.
Molte espressioni delle culture contadine tradizionali, particolarmente esposte all’erosione, sono da tempo oggetto di attenzione e di studio, in quanto la loro possibilità di esistenza sembra sempre più dipendere dalla capacità di riattivare connessioni coi territori; di rigenerare quei nessi alla base della socializzazione dell’ambiente rurale. Saperi e conoscenze che un tempo erano trasmessi nelle comunità, di generazione in generazione, mediante la pratica empirica – il ‘fare’ – e nella capacità di osservare e decifrare i segni impressi dalla natura sulle colture. La scomparsa del mondo rurale contadino ha spazzato via questa sedimentazione secolare di relazioni uomo-ambiente, relegandole, nel migliore dei casi, a deposito di saperi residuali. È a queste espressioni culturali che oggi guardiamo come patrimoni, intuendone da un lato la necessità di documentarli – per l’impossibilità di riprodurli nelle forme in cui si presentavano nel passato – e dall’altro quella di riqualificarli creativamente nell’attualità degli scenari odierni. Ecco dunque che prende forma una nozione di patrimonio molto ampia ed estesa, che va ben oltre l’intento di conservazione statica o inventariale, andando piuttosto in direzione di un concetto inclusivo, sia delle espressioni materiali tradizionali (prodotti agricoli, artigiani o quant’altro), sia di quelle immateriali, ovvero di quel portato di usi sociali e conoscenze che le società hanno riversato nell’ambiente: i saperi, il paesaggio, le forme di socialità.
Il senso dell’espressione “patrimonio immateriale”, espressione tanto affascinante quanto sfuggente, lo si può dunque rintracciare nel gioco voluto di rimandi a cui allude il titolo stesso di questo progetto, “Storie di vite”, come intreccio indissolubile che tiene assieme il vissuto sociale delle comunità, coi loro saperi, e quello delle risorse e del loro ambiente. Dare voce alle storie delle giovani generazioni che oggi si dedicano all’attività di viticoltori in contesti difficili, di altitudine, spesso riprendendo i terreni di famiglia e le tracce dei saperi ereditati, significa illuminare quell’anello cruciale che è la trasmissione del sapere, la riattivazione cioè di legami consapevoli col territorio.
C’è infine in questo progetto l’idea di dare corpo a una complessità culturale che faccia da scudo all’idea di marginalità come disvalore, spesso pesata sul piatto dei soli valori economici, considerandola invece come espressione di ricchezza, di forme di agri-cultura la cui garanzia di esistenza dipende dalla capacità di saperne riconoscere le specificità, i bisogni. La ricerca sociale può contribuire in questo a costruire uno spazio di interazione reciproca, riconnettendo prospettive e voci, o almeno restituendole.
Michela Badii
Ricercatrice del progetto Storie di Vite
APPROFONDIMENTI
STORIE DI VITE: ONLINE LA PAGINA DEL PROGETTO con nuovi contributi
La ricerca “Storie di vite” è promossa da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (nell’ambito dell’area di ricerca Globalizzazione e Sostenibilità) e cofinanziata dalla D.G. Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia nell’ambito delle attività dell’AESS Archivio di Etnografia e Storia Sociale.
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12/10/2016