Cercasi un Noi, disperatamente

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Se si considerano le elezioni di ieri in Spagna, quelle francesi di due settimane fa, l’esito di quelle in Polonia di meno di un mese fa, fino alla montante campagna euroscettica nel Regno Unito, la prima tentazione è dire che il sentimento dell’anti-Europa va forte.

È, questa, un’affermazione facile e anche banale. Risponde al principio della delusione, o dello scetticismo, comunque sia insiste sul fatto che dalla crisi di legittimazione che in Europa vive il “progetto europeista” si possa uscire cercando ognuno di correre ai ripari stando a “casa propria”, chiudendo le frontiere, ritrovando un proprio carattere originario che l’Europeismo avrebbe stravolto.

Nel sentimento che oggi circola in Europa c’è una somma scomposta di molti elementi. Ne indico alcuni senza un ordine preciso. Preoccupazione per il futuro; paura dei segnali che caratterizzano i molti angoli del nostro pianeta e che spesso riversano le loro conseguenze alle soglie della nostra quotidianità; sensazione che il passato prossimo, con le scelte che abbiamo compiuto, ci abbia giocato un brutto scherzo e dunque si tratti velocemente di ripensarle, spesso invertendone il segno.

È il sentimento con cui nelle settimane scorse sono andate al voto le molte “Francie” del risentimento. Lo stesso che muove comparti consistenti dell’opinione pubblica inglese che preme per uscire dall’Europa. Lo stesso con cui ieri si è andati a votare in Spagna. Tutti e tre questi scenari – che non hanno aderito all’Europa come salvezza, come fuga da un sistema oppressivo da cui si erano liberati con difficoltà, ma come progetto – hanno al centro una sola questione che è una precondizione politica del patto civile: il recupero di un terreno in cui si possa ancora dire che la politica mi rappresenta. Nelle loro diverse opinioni pubbliche un “io” smarrito ha bisogno di ritrovare un “noi”.

La premessa di quella domanda di legittimazione è l’insoddisfazione per ciò che c’è e la sensazione che le proprie attese e speranze siano state tradite.

Ma poi come si ritrova quel “noi” non si esprime in una ricetta. Si presti attenzione a questo dato: se facciamo riferimento alla situazione italiana degli ultimi trent’anni, la riforma di sistema partiva dalla valutazione negativa di un modello multi-partitico, e dunque sanare quella politica voleva dire giungere a un sistema bipolare. Il voto di ieri in Spagna indica invece che il bipolarismo è ciò che va superato per dare voce e chance a soggetti altrimenti esclusi. Una situazione, per di più, che cambia regione per regione e che non ci consente di pensare che ci sia un quadro unanime. Il voto, nella sua composizione geografica, ci restituisce una situazione frammentata senza indicare una idea univoca di futuro capace di proporre una trasformazione condivisa.

Le ultime elezioni tuttavia ci dicono qualcosa di molto chiaro: l’insoddisfazione per l’esistente, la sensazione che le proprie attese e speranze siano state tradite, la richiesta di una nuova sintesi, che a oggi è priva di una strategia. L’Europa prova a uscire in ordine sparso dalla sua crisi. Un tratto comune, non negativo, c’è, anche se si tratta di intendersi sulla sua valenza.

La politica oggi sembra presentarsi sempre meno come delega e sempre più come chiamata a un coinvolgimento in prima persona. È un buon segno. Ma questa segno va letto insieme a un altro, che è opposto: il numero di votanti, in Spagna e ancor più in Francia due settimane fa, non indica una riduzione dell’astensionismo, anzi. Nonostante l’esaltazione del “sussulto democratico” o della politica in mano ai cittadini, in Francia al secondo turno ha votato poco più del 60% degli aventi diritto al voto, in Spagna la percentuale dei votanti non è stata superiore a quella del 2011. La realtà è sempre complicata e mai univoca.

Dove sta il fatto positivo? Il voto, anche se in maniera multiforme e contraddittoria, esprime una domanda di maggiore partecipazione politica e di responsabilità. Un tempo lo avremmo pensato come la premessa necessaria e sufficiente per una “società aperta”, e dunque ci sarebbe bastato. Ma è ancora questa la condizione?

David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

21/12/2015

 

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